ADDIO A VITTORIO GREGOTTI, PRINCIPE DELL’ARCHITETTURA MODERNA SEMPRE VOLTA ALLA STORIA…URBANISTA E CRITICO FRA I MIGLIORI PROGETTISTI INTERNAZIONALI
Io lo conoscevo bene. Mi permetto oggi di ricordarlo soprattutto sotto l’aspetto umano e non solo culturale. All’età di 92 anni il Corona Virus se l’è portato via, sua moglie è ricoverata. La citta’ è deserta e chiusa e a ricordarlo l’architetto Stefano Boeri, presidente della Triennale alle 19 su Facebook con una piacevole lettura del volume “Il territorio dell’architettura”uno dei tanti testi illuminati di Gregotti e un commento.
Finita l’Università e con la coscienza di avere imparato tutte le nozioni di storia dell’architettura e del disegno industriale, conobbi Vittorio Gregotti nel suo studio per invitarlo a una mia trasmissione Rai. Mi disse di sì e ci accordammo per il giorno e l’ora. A dire il vero il professor Gregotti, lo conoscevo già a Venezia dove aveva aperto un altro studio e dove sua moglie Marina aveva una stupenda casa e lui ne costruì un’altra accanto alla mia. Mi permisi in seguito con il supporto dell’amica Franca Sterzi, (si proprio la Sterzi delle Cartiere) di fare entrare nella Gregotti Associati fondata nel 1974 mio marito, anche lui archietto. Lo assunse visti gli ottimi risultati e ne fece il responsabile di un settore di progettazione. Sto parlando di Stefano Parodi..con il quale fece l’Ansaldo, lo Stadio di Genova, il Centro Bèlem,di Barcellona, la prima parte, i primi edifici alla Bicocca per la Pirelli, l’Università della Calabria…Ma anche il Quartiere Zen a Palermo (interrotto per ingerenze mafiose), i Teatro della Bicocca…fino ai progetti di Torino, la Siemens, Lecco, Livorno….lo Stadio di Barcellona, fino all’Africa e alla Cina, il nuovo quartiere di Shangai. Le testate, Casabella e Edilizia Moderna rifiorirono grazie alla sua forte partecipazione e direzione.
Oggi è il giorno dell’addio a una grande figura della storia dell’architettura internazionale e dell’urbanistica, nonché all’insigne professore di storia dell’architettettura, di progettazione, di urbanistica con insegnamenti a Losanna, Tokio, San Paolo, Harward, Cambridge, Bucarest…Direttore della Biennale d’Arte e Architettura di Venezia, Gregotti non voleva essere un archistar, anzi, diceva ai sui alunni:“ ricordare di avere delle radici, perché la globalizzazione e la finanza vuole cose ecclatanti che devono solo apparire, stupire…”.
I suoi veri Maestri furono Walter Gropius, Peter Berens. Auguste Perret, Otto Wagner…il suo pensiero andava sempre alla tradizione dell’architettura moderna. Nella sua cerchia i primi soci in Via Matteo Bandello (un edificio enorme, spettacolare ottocentesco di mattoni con una grande cortee e terrazze), Pier Luigi Cerri, Nicolin, il giapponese Hiromichi Matsui e l’argentino Bruno Viganò. Non mancava lo studio della Grafica, importante quanto un disegno industriale, un progetto…quanti plastici dei suoi lavori e del suo staff ho visto passare sotto i miei occhi. Alcuni soci erano amici di mio marito e miei. Non mancavo una recensione di una nuova opera o di un libro; Gregotti scriveva molto bene. L’ultima volta che l’ho visto era seduto da Paolin, una storica gelateria veneziana in Campo Santo Stefano con la moglie Marina…avevamo le case vicine a Venezia e anche a Milano, io in Piazza Sant’Ambrogio, lui nella meravigliosa casa a piu’ piani con terrazza e piante ad alto fusto in giardino, in via Circo 9. Lo Studio non era lontano. Dal 1953 al 1968 entrano in società Giotto Stoppino , un forte segno o tratto lo legava all’amico Tafuri. Con il tempo cambiarono i soci e si susseguirono Augusto Cagnardi, fedele per anni fino all’ultimo Michele Reginaldi che venne via dallo Studio Gregotti per fondare la Quattro Associati con Stefano Parodi, Daniela Saviola e Corrado Annoni. Sede a fianco della Basilica di Sant’Ambrogio davanti al palazzo progettato da Caccia Dominioni (un’altra triste perdita) e quella dell’architetto Marco Albini.
Nato a Novara nel 1927 (la famiglia era proprietaria della Bossi), laurea al Politecnico di Milano nel 1952. Mi ricordo quando tenne lezioni a Praga, era affascinato da quella città, io la amavo per via Franz Kafka, autore prediletto da tutta la famiglia…ne parlavamo spesso. Quando venne fondata la Gregotti Associati International nel 1974 Milano era una fiorire di mostre, di convegni di archtettura.La Triennale aveva rireso la sua vera funzione anche se vere e proprie esposizioni come negli anni Trenta fino alla guerra non vennero ripetute, ma era il luogo deutato del progettare e fu in quegli anni che il design entrò dirompente diventando una cosa unica con il concetto di architettura, arredo.
Il noto progettista era per una architettura globale che poteva andare bene in ogni parte del mondo, ma tenendo fermo il concetto che questa scienza doveva raccontare sempre la nostra cultura. L’archiettura per lui andava concepita come una prospettiva sull’intero modo di come era la vera vita (Bari ne è un esempio). Il potere finanziario ormai era l’unico committente..un tempo vi era la Chiesa e poi l’Industriale colto , lo Stato..
L’Ilva, il Teatro Fonderia-Leopolda e Folloni (Grosseto), l’ampliamento della Gallerai d’Arte Moderna Carrara di Bergamo, il Ponte sul Savio a Cesena, l’Acquario Cestoni di Livorno, l’Università della Bicocca, il quartiere residenziale e il Teatro degli Arcimboldi sempre alla Bicocca nell’ex area Pirelli a Milano, La Facoltà di Medicina a Napoli, l’Università della Calabria…..Nel 2012 riceve la Medaglia d’Oro alla Carriera. Saggista, critico, editorialista, polemista, uomo delle istituzioni, Gregotti non si puo’ dire che non abbia dato il meglio di se stesso tra applausi e polemiche. Un uomo dal carattere forte, simpatico, tanti avevano timore di un suo parere, ma nessuno poteva ignorarlo.
Oggi 15 marzo Manuel Salgado, Kennett F. William Memkin, Paolo Portoghesi, Aldo Rossi, Joseph Rykwest e Josè Fernàndez sarebbero tutti intorno a lui per un grande saluto. Mi sono pentita pochi mesi fa di non essere andata a trovarlo, ma avevo al schiena operata che mi faceva male…in quel quartier generale di via Bossi 4, ultimo sede di lavoro, senza lasciare il suo eremo di Matteo Bandello. Milano gli è sempre stata grata. Ma non c’è stato libro o progetto che non lo abbia recensito a volte con un pizzico di critica. Avrebbe voluto affidarmi il riordino dl suo archivio una decina di anni fa…una mole di lavoro. Non potevo accettare. Già lavoravo in un quotidiano e avevo i figli in età adolescenziale. Ma non me ne volle. Sapeva del mio amore per la fotografia e mi regalo’ due bellissimi libri…Ciao Vittorio!