MATISSE E TANTO ALTRO….TELESCOPE.RACCONTI DA LONTANO

EDITORIALE

Nel gennaio 1941 il pittore Henri Matisse (1869-1954) torna a casa da una visita medica con la tragica diagnosi di cancro all’intestino: si sottopone a un intervento che gli salva la vita, ma che lo costringe per il resto dei suoi giorni a letto o su una sedia a rotelle.

Il suo nuovo stato di ridotta mobilità gli fa comprendere di non poter più dipingere, ma non potendo rinunciare alla sua arte dà vita a una nuova stagione, a un nuovo inizio: riorganizza la sua camera da letto per avere tutto ciò che gli serve a portata di mano e comincia a ritagliare forme di carta colorate, creando grandi collage coloratissimi.

I collage sono per Matisse la gioiosa soluzione al problema pratico dell’invalidità: l’artista porta dentro la sua casa di Nizza il suo universo colorato, i fiori del suo giardino o le figure sinuose di onde e nuotatori della piscina di Cannes. Le dimensioni delle sagome di carta aumentano con il passare del tempo, e lo stesso uso “esplosivo” dei colori primari è inversamente proporzionale all’aggravarsi del suo declino fisico.

In una lettera al figlio Pierre, Matisse scrive: “Sono ancora qui. Mi concentro su un’unica cosa: il mio lavoro, per il quale solo sono vivo”. La felicità della creazione può essere per un artista fonte di conforto nei momenti più difficili della vita, e può esserlo anche per noi; quindi parlare, studiare e leggere di creazioni artistiche può essere una cura intelligente per tempi difficili.

In questa ventottesima edizione di TELESCOPE nella sezione RACCONTI troviamo una piccola riflessione sull’animo umano – ispirata alla novella di Ennio Flaiano Un marziano a Roma – a seguito della visita alla mostra I Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori ai Musei Capitolini Villa Caffarelli di Guglielmo Gigliotti, storica firma del Giornale dell’Arte; un racconto di Gianmaria Biancuzzi, fondatore della piattaforma web Milano Art Guide, dedicato alla mostra di Fredrik Vaerslev alla galleria Gió Marconi di Milano; e un estratto del testo di Christian Viveros-Fauné per il catalogo della mostra di Kennedy Yanko alla Galleria Poggiali di Milano.

Nella parte dedicata ai VIDEO troviamo una pillola di The Sky in a Room, la poetica performance di Ragnar Kjartansson a cura di Massimiliano Gioni alla Chiesa di San Carlo al Lazzaretto di Milano, prodotta e promossa dalla Fondazione Nicola Trussardi, e un’introduzione di Marco Meneguzzo che presenta The Private Collection, la collezione privata di opere d’arte di Nanda Vigo che l’artista, recentemente scomparsa, ha donato al Centro San Fedele.

La sezione EXTRA raccoglie invece il progetto Radio GAMeC PopUp, evoluzione in FM della radio creata dalla GAMeC di Bergamo in piena emergenza sanitaria e riconosciuta dall’UNESCO come una delle iniziative museali migliori al mondo nate durante il lockdown; i vincitori del contest #FindingPomodoro lanciato dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro la scorsa estate e dedicato alle fotografie delle opere del Maestro; l’Open Call rivolta a tutti i cittadini di Prato dal Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci per la realizzazione dell’opera SOUNDTRACK di Marinella Senatore.

Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com

Buona lettura!

Lo staff di Lara Facco P&C

#TeamLara

Lara Facco

Francesca Battello, Camilla Capponi, Barbara Garatti, Marta Pedroli,

Claudia Santrolli, Denise Solenghi

con la collaborazione di Annalisa Inzana

domenica 18 ottobre 2020


RACCONTI

Un marziano a Roma visita la mostra dei Marmi Torlonia ai Musei Capitolini, di Guglielmo Gigliotti

Vengo da Marte e sono planato in un luogo meraviglioso.

Ho quindi deciso di imparare in 4,7 secondi la lingua degli uomini per comunicare la mia commozione.

Essa è dovuta alla scoperta di novanta grandi manufatti bianchi, di un materiale molto duro, ma quanto soavi nell’aspetto! Armonia perfetta tra le parti, equilibrio assoluto delle composizioni, trattamento amoroso delle superfici, e poi quella calma grandezza e nobile semplicità, quella capacità di fare apparire leggiadri blocchi di pietra pesantissimi, e quella sognante bellezza!

Oh umani, non vi conoscevo, ma ora sì! Ora so che siete esseri in cui l’amore e l’armonia, la gioia e la poesia regnano sovrani ovunque e da sempre! E che amate amare, perché siete liberi, danzate con le forme e l’informe, e conservate nel vostro cuore una pace perenne! Da dove deriverebbe, altrimenti, tutta questa bellezza che sapete infondere nell’arte? Da dove questa capacità di tradurre tutto in favola mitica e sogno cosmico?

Ora me ne torno su Marte, perché ho saputo quello che volevo sapere: sulla Terra c’è il paradiso, sulla terra la giustizia è l’unico metro di valutazione del prossimo, il rispetto l’unico sentimento, la verità l’unica realtà, la pace l’unica meta, sempre da tutti raggiunta, fuori ma soprattutto dentro di sé. E per questo vi amo anch’io. Ora insegnerò la vostra arte della vita ai miei compagni di specie marziana, per poi diffonderla una volta per tutte nell’Universo infinito, per renderlo un posto meraviglioso dove galleggiare eternamente felici!

Crediti: ph. Oliver Astrologo – © ​Fondazione Torlonia, Electa, Bvlgari


Bandiere e simboli: i World Paintings di Fredrik Vaerslev alla Galleria Gió Marconi, di Gianmaria Biancuzzi

Le bandiere, fondamentalmente, sono drappi di tessuto contraddistinti da porzioni di colore. Da questo punto di vista le affinità con la pittura sono evidenti. Forse per questo sono diventate l’oggetto di interesse di una recente serie di lavori concepiti dall’artista norvegese Fredrik Vaerslev dalla metà degli anni 2000 e raccolti in una mostra da Gió Marconi a Milano, aperta fino al 30 ottobre.

Gli otto dipinti raffigurano le bandiere di vari Paesi del mondo e da tutti i continenti. Le cinque bande oblique che convergono in un angolo della bandiera della Repubblica delle Seychelles aprono il percorso. Nella sala principale la bandiera dell’Inghilterra, originariamente vessillo della Repubblica di Genova, è a fianco della Repubblica di Corea e sulla parete opposta al Pakistan. Insieme a Panama, con una bandiera ispirata a quella degli Stati Uniti d’America, e Trinidad e Tobago, dove una banda diagonale nera, bordata di bianco, attraversa il fondo rosso. L’Uzbekistan, a strisce di color turchese, bianco e verde con intermezzi rossi è di fronte alla bandiera di Nauru, uno stato insulare della Micronesia considerato la repubblica indipendente più piccola del mondo: una grande tela blu separata in due parti uguali da una striscia gialla, con una stella bianca. Il campo blu simboleggia l’Oceano Pacifico, mentre la striscia gialla l’equatore.

In tutti i soggetti, scelti da una prospettiva politica ma soprattutto per le qualità formali, si ritrovano porzioni, strisce, stelle e lune bianche che rivelano la tela non trattata. La collocazione dei dipinti appare significativa quanto gli oggetti stessi: essi diventano tutti termini in un unico, onnicomprensivo linguaggio visivo stimolante, ma infinitamente ambiguo.

L’artista ci affida il non facile compito di guardare oltre i simboli e di cercare di ricordarci che sono dipinti. Tuttavia, alla luce degli avvenimenti recenti, è difficile incontrare i World Paintings di Vaerslev senza porsi delle domande. Nel giro di pochi giorni il mondo è passato dall’essere una vorticosa rete globale ad arcipelago di città fantasma, e non esiste area che non sia stata colpita in qualche misura dall’impatto del virus. Come fa notare Dieter Roelstraete in un saggio che accompagna la mostra, anche il sistema dell’arte non è stato immune. Come poteva immaginarselo Fredrik Vaerslev quando ha iniziato a concepire questi lavori negli anni 2000? Cosa ne penserà oggi?

Crediti: Fredrik Værslev, World Paintings 22.09–30.10.2020 Installation view Gió Marconi, Milan photo: Filippo Armellin Courtesy: the artist; GióMarconi, Milan


Perché ce l’ha nel sangue: astrazione e inclusività nella scultura di Kennedy Yanko, di Christian Viveros-Fauné *

Storia. Malattia. Politica. Paesaggio. Quella che accosta il corpo a uno o alla totalità di questi termini è una figura retorica familiare, ma non per questo di minor effetto. A volte, quella stessa metafora tipicamente rinascimentale del corpo umano come immagine dell’Universo – l’idea che l’Universo, così come lo conosciamo, sia modellato sul corpo umano – viene messa, senza tante cerimonie, al rogo assieme ad altre figure retoriche civilizzatrici. Ne usciamo, poi, purificati? Vediamo le cose con maggiore chiarezza avendo sacrificato costrutti condivisi come questi per domare le fiamme?

Questi sono gli interrogativi affacciatisi alla mia mente durante una chiamata FaceTime particolarmente animata con la scultrice newyorkese Kennedy Yanko. Mentre effettuavamo un tour virtuale del suo studio, mi ha parlato del suo lavoro, di come plasmi a colpi di martello, per poi saldarle e imbullonarle tra loro, lamiere di rame che recupera dai depositi di rottami di tutta New York; e della cantante afro-americana Betty Davis: l’intransigente regina del funk di epoca disco la cui radicalità ha lasciato il segno su generazioni di musicisti – non da ultimi l’ex geniale (e violento) marito Miles Davis e la cantante contemporanea, emblema della fluidità di genere, Janelle Monáe – nonostante le ripetute trasgressioni delle misogine proibizioni imposte dall’industria musicale americana degli anni Settanta.

Le ho parlato di un saggio che avevo recentemente letto sul New York Times scritto dalla poetessa Caroline Randall Williams. Nella sua appassionante dissertazione, sottotitolata My Body Is a Confederate Monument (Il mio corpo è un monumento confederato), la Williams narra al lettore una serie di semplici quanto tragici fatti legati alla sua biologia. Pur essendo geneticamente più bianca che di colore, la perdurante applicazione, in America, della cosiddetta regola dell’ipodiscendenza (la prassi sociale e giuridica per cui la prole di unioni miste viene assegnata al gruppo di minore prestigio sociale) fa sì che, legalmente, negli Stati Uniti, la Williams sia categoricamente definita una persona di colore – anche se il suo trisavolo, era il bianchissimo stupratore/generale confederato Edmund Pettus, il cui nome oggi troneggia sul leggendario Bloody Sunday Bridge di Selma, Alabama.

Se l’ansia ci ha accompagnato passo dopo passo per gran parte della visita allo studio, il vivace scambio di idee che l’ha seguita è stato letteralmente scoppiettante – il perfetto antidoto a mesi di quarantena forzata. Il mondo, non abbiamo tardato a convenire, sta cambiando, e probabilmente non in meglio. In un’epoca caratterizzata da una pandemia mondiale che non accenna ad arrestarsi, dal fantasma globale di un fascismo strisciante e dalle sempre più frequenti proteste di strada – e, a livello personale, dall’accumularsi di pensieri e battute non collaudati (per quanto mi riguarda) e idee e lavori di grande solidità (per quanto la riguarda) – la nostra visita virtuale tutta “made in Brooklyn”, resa possibile da iPhone cinesi, mi ha dato, a tratti, l’impressione di un’umile presa di coscienza. I disastri, a quanto pare, sono come campanelli d’allarme: ti fanno aprire gli occhi sul mondo. E dopo sembra tutto diverso.

* Estratto dal testo in catalogo della mostra Kennedy Yanko. Because it’s in my blood, fino al 20 novembre 2020 alla Galleria Poggiali – Milano
Crediti: KENNEDY YANKO. Because it’s in my blood, 2020. Installation view at Galleria Poggiali, Milan. Photo Michele Sereni. Courtesy Galleria Poggiali

VIDEO

Il potere dell’arte di trasformare lo spazio: Ragnar Kjartansson a Milano con la Fondazione Nicola Trussardi

“Il cielo in una stanza è l’unica canzone che conosco che rivela una delle caratteristiche fondamentali dell’arte: la sua capacità di trasformare lo spazio. In un certo senso, è un’opera concettuale. Ma è anche una celebrazione del potere dell’immaginazione di trasformare il mondo attorno a noi”. Nelle parole dell’artista islandese troviamo il senso profondo di The Sky in a Room, la performance prodotta e promossa dalla Fondazione Nicola Trussardi, che fino al 25 ottobre si tiene nella Chiesa di San Carlo al Lazzaretto di Milano. Ogni giorno, per sei ore, cantanti professionisti si alternano all’organo della chiesa interpretando un etereo arrangiamento della celebre canzone di Gino Paoli. Un progetto concepito in seguito al difficile periodo di quarantena che ha segnato la vita pubblica e privata di milioni di italiani: ancora una volta un intervento dalla forte valenza simbolica, voluto dalla Presidente Beatrice Trussardi e dal Direttore Artistico Massimiliano Gioni.

Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria al link: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-the-sky-in-a-room-120366640863


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