ATHENA DI ROMAN GAVRAS DA VENEZIA ..IN CONCORSO
Una pellicola particolare, forte…nessuno se lo aspettava. Un’ora e mezza di adrenalina pura è quella che lo spettatore si trova davanti nel film Athena, di Romain Gavras, ieri in concorso a Venezia. Il nome del regista rimanda a quello paterno, quel Costa Gavras che con Z. L’orgia del potere e La confessione ha girato film memorabili sulla violenza di Stato e sulla manipolazione della verità. Qui il figlio mette a frutto l’insegnamento paterno andando a raccontare la rivolta in una banlieu parigina che si trasforma in una guerra di fatto civile e che travolge non solo ogni regola di normale convivenza, ma attraversa e distrugge gli stessi nuclei familiari.
Di là di un finale semplicistico e di comodo (non erano i poliziotti ad avere ucciso il tredicenne Idris, ma estremisti di destra mascherati) Athena racconta, con i toni e il ritmo della tragedia greca, ovvero l’unità di tempo, di luogo, di azione, un dramma antico: una vittima sacrificale, il desiderio di giustizia che si trasforma in sete di vendetta, l’impasto di bene e di male che si annida anche fra gli “umiliati e offesi”… Dei tre fratelli di Idris, il maggiore, Moktar, traffica in droga e in armi e se la fa con la polizia. Il secondo, Abdel, è invece un sottufficiale dell’esercito, pluridecorato e di stanza nel Mali quando la morte di Idris lo costringere a rientrare in patria. Karim, il minore, è un puro e semplice concentrato di ribellione: vuole i colpevoli, non si fida delle promesse dell’ordine costituito, nella fattispecie della Francia ufficiale, che ha lasciato le banlieu a loro stesse e fatto sì che il multiculturalismo si trasformasse in una guerra di bande contro il potere centrale. In quella di Athena, del resto, si nasconde, ben ospitato e protetto, un ex jahidista esperto in esplosivi e che ha fatto il suo apprendistato in Siria. Tutto questo aiuta a capire perché quel finale sia semplicistico e di comodo, un omaggio al politicamente corretto nell’ottica dello struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia per evitare di confrontarsi con la realtà.
Il fatto è che tutti gli abitanti di Athena, a cominciare dalla famiglia del ragazzo ucciso, ritengono che quella morte sia stata a opera della polizia: è già successo, insomma, e continuerà a succedere. Il patto di fiducia si è rotto ormai da tempo e ricostruirlo è un’impresa disperata. Quando qualcuno riporta la voce che si possa trattare di falsi poliziotti, il giovane Karim la spazza via con disprezzo: “Ancora credete alle stronzate che scrivono sui giornali e dicono alla televisione?”.
“Athena- dice Gavras- potrebbe essere ambientato in ogni epoca, del passato o del futuro. Dietro ogni guerra si nasconde infatti una manipolazione e una bugia che ne è all’origine. Quando il dolore intimo è troppo grande, la violenza acceca il pensiero e quando la nazione è fragile, è facile spingerla nel baratro”. Qui però il paradosso non è tanto o solo la fragilità della nazione francese, quanto quella della sua parte più debole, l’immigrazione soprattutto nordafricana per la quale, specie nelle sue fasce più giovani, il rifarsi a una cultura di origine, intrisa di familismo e di religiosità, si scontra con le seduzioni e le delusioni di quella acquisita. Così, per il giovane Karim, il fratello maggiore Abdel non è altro che un “harkis”, come gli dice con rabbia, ovvero un algerino che ala tempo della Guerra d’Algeria scelse la Francia e non i suoi connazionali…. Quanto a Moktar, la sua integrazione si è invece compiuta nel nome della pura criminalità: si sente francese nella logica del guadagno facile…
Ben girato, con lunghissimi piani sequenza, ottimamente interpretato, Athena ha nel coro dei suoi abitanti più indifesi, donne, vecchi, bambini, famiglie umili, la sua voce più dolorosa, l’unica che ha senso sentire quando a sovrastarla è il rumore delle armi, ovvero dell’odio.