LA MIA LISBONA E QUELLA DI ECA DE QUEIROS..IL CHIADO…”I MAIA” E TANTI ALTRI LIBRI…LETTI ALLE JANELAS VERDES..IN PARTE DAVANTI AL MARE SULLA TEZZA BIBLIOTECA. MA PESSOA…

Non posso staccare la storia e qiuesto ultimo testa della Casa Editrice Settecolori (Manuel Grillo e soci…con Stenio Solinas direttoreeditoriale).  Mi piace fotografare tutto, un tempo avevo una gallerai d’arte in piazza Castello a Milano…Girare ogni due anni per quelle strada da ragazza, io e mio marito. S:P:…. da mamma prima con una fglia  e poi con anche il figlio..ma anche da sola è sempre stato per me un sentirmi a casa e una unica emozione…una eterna riscoperta.La statua di Eça de Queiroz sta in largo do Bara^o de Quintela, nel cuore del Chiado. E’ un bronzo in cui lo scrittore sovrasta una bella figura femminile seminuda e che lo contempla con le

Yellow vintage tram on the street in Lisbon, Portugal. Famous travel destination

braccia aperte. Lo scultore Teixeira Lopez disse di essersi ispirato al sottotitolo di un romanzo di Eça A Relìquia. <<Sobre a nudez forte da verdad, o manto diàfano da fantasia>>, sopra la forte nudità della verità, il diafano manto della fantasia…Non si fa però del pettegolezzo se si dice che de Queiroz, oltre che romanziere, giornalista, viaggiatore e diplomatico, fu bon vivant e uomo di mondo, nonché un appassionato del cosiddetto sesso debole. Aveva cominciato da studente, quando ancora faceva parte della Scuola di Coimbra, e poi a Lisbona, come membro del Cenacolo de la Travessa do Guarda Mor: si era inventato uno pseudonimo, Carlos Fradique Mendes, amava definirsi, sulle orme di Baudeliare, <<poeta satanico>>. Due dei più esilaranti paesaggi de I Maia sono squisitamente autobiografici: le Memorie di un atomo che il giovane esteta e cosmopolita Joa^o da Ega si diletta a scrivere, sono le stesse da de Queiroz progettate al tempo dell’università; quando ancora Joa^o , vestito da diavolo per una festa in costume, si vede messo alla porta da un marito furioso e cornuto è a sé stesso che Eça sta pensando: a Leira era stato scacciato dal ballo mascherato del barone Salgueiro perché troppo assiduo nei confronti della baronessa. In quell’occasione il travestimento da lui scelto era quello di Cupido…

Così come è esistita, e esiste ancora, una Lisbona di Ferdinando Pessoa, c’è stata e c’è ancora una Lisbona di Eça de Queiroz e I Maia ne sono da un lato il perfetto compendio e dall’altro la nostalgica rivisitazione, perché Eça passò gran parte della propria vita fuori dal Portogallo, console all’Avana, poi in Inghilterra, infine in Francia, dove morì, il 16 agosto del 1900, nella sua casa in avenue du Roule, a Neuilly. Aveva cinquantacinque anni. E’ sepolto nel cimitero di Santa Cruz de Douro.

Scrittore cosmopolita come nessun altro del suo tempo, meglio, scrittore cosmopolita  per eccellenza della letteratura portoghese, quella che lo precedette, con l’eccezione picaresca di Cam^oes, quella che l’ha seguito, con l’eccezione eteronimo-immaginaria di Pessoa, de Queiroz però fu anche quello che dal Portogallo non si staccò mai: ne vide lucidamente i limiti politici, la lunga decadenza di un impero sopravvissuto a sé stesso, di una monarchia impari al suo compito; la paralisi di un ceto intellettuale eternamente in ritardo sul proprio tempo; l’agitarsi scomposto, in preda a una vera e propria sindrome mimetica, con cui la nuova borghesia scimmiottava usi e costumi che non le erano propri; il sonno secolare di un mondo rurale con soprassalti di furia omicida a contrassegnare la più profonda rassegnazione. Ma sempre e comunque risuona ne I Maia l’amore profondo per quella terra e la sua gente, i tramonti sul Tago e le quintas del Douro, i piatti di arroz doce e il cicaleccio in famiglia, l’ironico chinarsi sui propri <<mali>> e l’orgogliosa riaffermazione, sempre e comunque, di uno <<stile portoghese>>, l’accettazione virile di una fatalità che risuona nel fado e nei fadisti.

La Lisbona di Eça de Queiroz, dunque. Al turista letterario suggeriamo di partire proprio da lì dove è il cuore del romanzo, il Ramalhete, la casa dei Maia in rua das Janelas Verdes, oggi un po’ il quartiere di Lapa e delle ambasciate. E’ una scelta controcorrente rispetto a quella, più classica, della piccola brochure di Luìsa Ducle Soares, Com Eça de Queiroz à Roda do Chiado, e dal più voluminoso Lisboa em Pessoa, di Jo^ao Correia Filho* che ne segue

le tracce: entrambe partono dall’alto del Chiado, da rua Alexandre Herculano e dal Giardino Botanico, per poi scendere verso il fiume. C’è una sua logica, perché è qui il cuore artistico-sentimentale del romanzo, ma significa sacrificarle quello che ne è un po’ il simbolo, il palazzetto in rovina che Afonso de Maia, il nonno di Carlos, acquista e che il nipote rimodella secondo i suoi gusti. E’ al Ramalhete che i Maia ricevono e ospitano gli amici, si gioca a carte e a biliardo, il cuoco è francese…

Al turista letterario, purché provvisto di immaginazione, se ne può indicare anche l’esatta ubicazione, poco distante dal Museu Nacional de Arte antiga, un edificio già settecentesco ribattezzato all’epoca dai lisboeti Museu de Janelas Verdes, dal nome della via e dal colore delle sue finestre. Inaugurato quando Eça era ancora in vita, nel 1884, possiede, fra gli altri, il San Jeronimo di D”urer, Le tentazioni di Sant’Antonio di Bosch, tele di Velazquez, Rubens, Tintoretto, e insomma partire da qui ha anche un suo perché artistico.

Con molta probabilità, ma senza una certezza definitiva, il Ramalhete è oggi un albergo, Las Janelas Verdes, anche qui per il combinato disposto del nome della strada e del colore delle imposte. Possiede anch’esso un piccolo chiostro interno, con in sottofondo il rumore della sua fontana che risuona nel romanzo, gode dalla terrazza della grande sala adibita a libreria della medesima, limitata visione del Tago sino al mare che incantava Afonso de Maia: <<Era come una marina incorniciata di pietre bianche e sospesa nel cielo azzurro di fronte alla terrazza, che mostrava sotto la infinita varietà del colore e della luce i fuggevoli episodi di una piacevole vita fluviale>>…

Le dimensioni ridotte dell’h^otel, meno di trenta camere, il piano-terra diviso in saloni che portano al giardino interno, la scala che conduce ai piani superiori, rimandano a un modello ottocentesco che trova nel romanzo la sua più compiuta rappresentazione.

Dal Ramalhete Carlos de Maia e i suoi amici si muovono verso il Chiado, qualche volta a piedi, molto più spesso in carrozza. Ci si può togliere lo sfizio di vedere come fossero, andando al Museu Nacional de Coches che sta a Belém, in praça Afonso de Albuquerque. Oltre quelle storico-regali di Jo^ao V e Jo^ao VI, di Carlo I che proprio nel coach conservato al museo fu vittima dell’attentato che gli costò la vita, ci sono i calessi, i calessini, i tiri a quattro che percorrono e si rincorrono nel romanzo. Detto questo, se siete pigri e non volete camminare, potete prendere il tram 25…

Il Chiado di Carlos de Maia è quello di un borghese aristocratico di fine Ottocento. Uno dei suoi luoghi deputati è il Grémio litérario, in rua Ivens. E’ un club privato, e quindi non aperto al pubblico, ma con un po’ di pazienza troverete il modo di riuscire a visitarlo. Venne fondato per ordine della regina Maria alla metà del XIX secolo e fra i suoi fondatori ci furono Alexandre Herculano e Almeida Garrett. Come il suo protagonista, anche Eça ne era un frequentatore e la sua statua all’ingresso ne è l’attestazione in forma di celebrazione. E’ una sinfonia di cuoi, tappeti, candelabri, belle marine alle pareti, il bancone del bar in legno di mogano, stanze di lettura. D’estate il ristorante si sposta sulla veranda che sovrasta un lussureggiante giardino interno: si mangia mediocremente, ma non si può avere tutto dalla vita.

A due passi dal Grémio, in largo do Chiado, c’è la Casa Havaneza, dove ancora oggi puoi comprare i sigari come al tempo del romanzo, la libreria Ferin, in rua Nova do Almada che conserva gli stessi scaffali in legno e le insegne in metallo di quando fu fondata nel 1840, un gioiello nel suo genere, e il ristorante Tavares, in rua da Misericordia. Il suo Sala^o Nobre, il Salone nobile, è un trionfo di ori, di stucchi, di specchi e di cristalli veneziani. Anche qui de Queiroz, attraverso i suoi protagonisti, racconta sé stesso: fece a lungo parte di un piccolo gruppo, non più di una dozzina di persone, intellettuali e qualche politico, che si era dato come nome quello di Vencidos da Vida, i Vinti della e dalla vita, e lì si riuniva per brindare alla propria sconfitta…Al Tavares si mangia molto bene e si spende tanto…

Il teatro da Trinidade, che sta nel largo omonimo, ne I Maia viene chiamato Teatro Lisbona. E’ ancora attivo, conserva pressoché tutto della sua architettura originale, ed è teatro, è il caso di dire, di molti degli intrecci e dei pasticci d’amore e di gelosia del romanzo.

Infine l’H^otel Central. Lo abbiamo lasciato per ultimo, perché dal cuore del Chiado bisogna spostarsi verso il Tago, scendendo per rua do Alecrim o rua das Flores, vicino al Mercado da Ribeira e a Caìs do Sodré, il vecchio quartiere del lungo-fiume. E’ qui che Maria Eduarda, la donna amata da Carlos senza sapere che si tratta di sua sorella, viene ad abitare nel suo primo soggiorno a Lisbona. Esternamente la facciata è rimasta la stessa, con i suoi piani impreziositi da trompe-l’oeil femminili e la decorazione del suo tetto triangolare che rimanda alla rosa dei venti. Internamente però ospita uffici.

Ecco, il nostro piccolo tour intorno a quel grande romanzo che è I Maia lo abbiamo terminato. Faremmo però un torto al libro e al suo autore se ci privassimo di una sia pur breve visita a un altro luogo significativo del libro, Sintra. Vale la pena di andarci anche per ripagare de Queiroz dell’appropriazione, indebita o no fate voi, che della capitale portoghese fece Pessoa e che in fondo ha finito per occultare la più ridotta, per estensione, Lisbona queiroziana. Del resto, per motivi alimentari Pessoa scrisse una vera e propria guida della città, idea che all’altro sarebbe sembrata stravagante…E però, se in questa guida anche Pessoa invita il lettore ad andare a Sintra e dà le opportune indicazioni in merito, non va oltre il generico accenno a una città ora bagnata dalla luce, ora avvolta nella nebbia…Il fatto è che a Sintra Pessoa non mise mai piede.

In I Maia Sintra è un luogo sentimentale e insieme un luogo di perdizione. Ci vanno i poeti in cerca di ispirazione e gli innamorati in preda alle pene d’amore, ma ci va anche chi cerca l’avventura facile e sa che lì gli sarà servita, in incognito, ma in albergo…Il Victor o il Nunes, per esempio, che oggi si chiama Tivoli, di quel passato conserva la struttura, ma non la disinvolta gestione, ed è sempre in praça da Républica. Sintra è anche il buen retiro degli inglesi, a cominciare da Byron per finire un secolo dopo a Auden: nel romanzo c’è spazio per il neoclassico Palacìo de Seteais come per il Palacio Nacional con i suoi camini a forma di cono, e il Palacio Nacional da Pena, in stile gotico-bavarese, per le rovine del Castelo Dos Mouros, costruito dagli arabi nell’ottavo secolo e la Cascata dos Pis^oes…Ma, soprattutto, è all’H^otel Lawrence che Carlos de Maia presta la sua attenzione, sperando di incrociarvi la donna destinata a rovinargli la vita, speranza però destinata a rimanere delusa. Ed è al Lawrence che una delle figure più strambe del romanzo, l’anziano poeta Alencar, già compagno d’avventura del padre di Carlos ed emblema di un romanticismo sorpassato quanto ancora battagliero, organizza una splendida cena a base di un bacalhao cucinato secondo una ricetta di cui conserva il segreto…Il Lawrence, che è subito uscendo dal centro di Sintra, in rua Consigliéri Pedroso, è ancor oggi il più vecchio albergo di tutto il Portogallo: le sue sedici camere  danno su un bosco sottostante, d’estate si pranza nel patio-veranda, c’è sempre una piacevole frescura anche quando il sole picchia forte. Il baccalà all’Alecar fa parte del menù e vale la pena ordinarlo, accompagnandolo con un bicchiere di Collares e un brindisi alla salute di un capolavoro della letteratura e del suo straordinario autore.

 

 


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