IL CAPPOTTO DI GOGOL IRRIDE LA SOCIETA'. IN SCENA VITTORIO FRANCESCHI NEI PANNI DI AKAKIJ
La prima edizione originale de “Il Cappotto” risale al 1842 e rimane ancora oggi uno dei racconti più famosi della letteratura moderna, attuale più che mai, scritto dal genio di Nikolaj Vasil’evic Gogol. Lo spettacolo al Teatro Carcano di Milano, ma ancora in tournée vede un Vittorio Franceschi lottare per conquistarsi il suo “cappotto nuovo” affiancato da bravi attori come Marina Pitta, Umberto Bortolani, Federica Fabiani, Giuliano Brunazzi, Andrea Lupo, Matteo Ali, Alessio Genchi, Stefania Medri, con la regia di Alessandro D’Alatri, costumi di Elena Pozzo, scene di Matteo Soltanto, luci di Paolo Mazzi e musiche di Germano Mazzocchetti e addetto al suono Giampaolo Berti. Produzione ERT Emilia Romagna, Teatro Fondazione.
Tra realismo e ironia lo spettacolo racconta la vicenda umana di un piccolo funzionario statale e la sua spasmodica agonia dettata dal fatto che non si rassegna ai soprusi con lo spirito sempre teso verso una vana giustizia. Senza microfono (cosa rara ormai nei teatri), tutti gli attori portano la voce splendidamente fino in fondo alla sala del teatro e alla sua galleria. Gogol, il suo autore, come ne ” Le anime morte”, irride la società a partire dallo strato più alto fino a finire a quello più basso, ai malfattori, agli imbroglioni che lo siano di fatto o costretti dalla povertà.
Akakij Akakievic Basmackin, è un povero funzionario statale che fa il copista e che ama avere tra i suoi pochi e poveri sogni, un inchiostro rosso con il quale iniziare le lettere maiuscole di ogni paragrafo di un testo che gli danno da copiare e non fare tutta la pagini in inchiostro blu. L’altro sogno è cambiare un vecchio e malandato cappotto grigio pieno di toppe e rovesciato più volte dal sarto furbacchione del paese. In realtà assistiamo a una guerra tra poveri; anche la moglie del sarto convince il nostro Akakj a farsi rifare il cappotto con un bel tessuto nuovo e gli propone che se lui gli continua a comperare aglio da masticare per tenere lontano il marito indesiderato, lei farà di tutto per fargli fare un grosso sconto. Tra i tanti debiti Akakj ha anche quella della sua stanza in affitto, la cui padrona però è tanto buona e gli si affeziona pure.
Grazie a una gratifica economica avuta dal Ministero il nostro protagonista si decide a farsi fare un bel cappotto color cacchi o cammello e con tanto di colletto in pelo, “pelo di gatto parigino”, gli viene detto dal sarto, una vera rarità da fare invidiare tutti durante la sua passeggiata e tanto anche da farsì che con quel cappotto così importante, tutti lo rispetteranno di più, dai funzionari statali, ai colleghi alla gente comune e persino dalla piccola borghesia. Costretto a vivere con un misero stipendio il nostro Akakj con il cappotto si “riscatta” veramente e corre a ringraziare il sarto Petrovia. Per lui è un evento importante che gli cambia la vita, rompe la ripetitività dei suoi giorni e sente che la sua esistenza non è destinata solo al lavoro. I colleghi lo rispettano, ma la gioia dura poco, perchè una sera rientrando al buio avvolto dal suo nuovo cappotto caldo, due malandrini approfittando forse del fatto che aveva bevuto un pochino gli rubano il cappotto. Akakj va a casa a piedi tremante dal freddo e deluso dalla vita. Si stende sul suo letto e inizia a delirare e di conseguenza a morire lasciando poche cose e di poco valore a nessuno perchè non ha nemmeno un parente. Commovente e divertente, il testo si gioca su una comicità delicata che fa il verso alla piccola borghesia russa zarista.