"IL POTERE LOGORA CHI NON CE L'HA". ARRIVEDERCI GIULIO!

Con la scomparsa di Giulio Andreotti, morto ieri all’età del di 94 anni, se ne va l’Italia che fece a tempo a vivere il fascismo e fu in primo piano in tutto ciò che avvenne dopo. Dalla ricostruzione al boom, dalla contestazione agli anni di piombo, sino alla fine della cosiddetta Prima repubblica. Resta, anagraficamente parlando, di quell’epoca, l’attuale presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ma, a differenza del leader democristiano scomparso, questi rappresenta quell’Italia minoritaria, ideologicamente legata al comunismo, che fu sempre opposizione e mai governo, eccezion fatta per realtà locali, e che, per quanto partecipe degli interessi del Paese, non fu mai così inserita nelle leve del potere, delle decisioni, quanto quella rappresentata dall’illustre scomparso.

Sette volte presidente de Consiglio, un numero enorme di volte, più di venti, ministro, Andreotti cominciò infatti la sua carriera politica di governo già all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale e la proseguì sino alla fine del secolo, quando si ritrovò addosso l’accusa di collusione con la mafia, non si tirò indietro di fronte al processo che ne seguì, finì assolto con una formula ambigua che, essendo venuta meno l’insufficienza di prove, manteneva dei contorni ambigui quanto a una sua vicinanza con la Onorata società almeno sino agli anni Ottanta. Soffriva spesso di mal di testa, mal di testa terribili.La mogli gli fu sempre vicina.

Quel che è certo, è che siamo di fronte a una personalità politica d’eccezione, più di venti volte ministro, come già detto, di cui sette volte alla Difesa, e poi più volte agli Esteri, senza dimenticare i primi passi , subito dopo la fine della guerra, quando fu, sotto varie forme, alla Cultura e in qualche modo ne condizionò le mosse, in una sorta di incontro-scontro con quella che era la cultura vincente del tempo, quella di sinistra, comunista o socialista che fosse, di cui fu avversario e insieme attento ascoltatore. Allo stesso modo, il suo ruolo negli Esteri, in cui fece valere una sorta di scelta mediterranea e vicina alla realtà araba, lo posizionò in un ruolo non supinamente atlantista e/o americano, ma attento a quelli che potevano essere gli interessi nazionali di un Paese quale il nostro, che nel Mediterraneo era un elemento essenziale e insieme un elemento debole, aperto cioè a tutti gli sconvolgimenti geo-politici.

Belzebù, il Divo, il Principe, la Volpe, il Grande Cardinale, questi alcuni dei soprannomi a lui attributi, tralasciando quelli che facevano leva su alcune sue realtà fisiche: il Gobbo, la Tartaruga, la Lumaca…Eppure, per chi ha avuto la possibilità di vederlo da vicino, l’impressione non era quella di un uomo segnato fisicamente, ma di un fisico che era superiore come altezza alla media degli italiani della sua, e non solo, generazione, con un portamento per nulla curiale, ma asciutto, e per certi versi principesco.

Fra i nostri uomini politici fu anche quello che più ostinatamente e più felicemente coltivò una vena letteraria, memorialistica e insieme inventiva, che sfociò in una serie di volumi di ricostruzione storica dell’epoca che si trovò a vivere e insieme di periodi storici pregressi, tipo la Repubblica romana del 1848, di cui fu un cultore appassionato e disincantato..Democristiano fin nel midollo, allievo prediletto di De Gasperi, Andreotti fu un uomo del Vaticano, senza però essere ciecamente un uomo di Chiesa: ne comprendeva il potere e il ruolo, ma allo stesso tempo era consapevole che laicamente occorreva una guida che sapesse fare a meno del potere pontificio. Adorava Pio X. Lo chiamavano “Belzebù”, ma a lui qusto non lo toccava. Il simbolo della DC si è sempre occupato poco del suo partito.Il più pragmatico e il meno ideologico, fu additato come l’ultimo dei gasperiani. Fu di grande appoggio a De Mita fino agli ultimi episodi. Gli mancò il Quiorinale, al suo posto nel 1992 gli preferirono Scalfaro. Un altro neo fu che non fui mai segretario dello Scudo Crociato.

Paradossalmente il politico più democristiano di tutti, Andreotti fu anche quello che meno ebbe a che fare con la Democrazia cristiana come partito in quanto tale. Non ne fu mai segretario, ebbe sempre una sua corrente molto particolare, fatta più di fedeltà personali che non di lotte per il di potere interno.

Spregiudicato, teorico della politica dei “due forni”, una volta a destra e una volta a sinistra, fermo in una posizione centrista che vedeva sempre e comunque la Dc come ago della bilancia, ciò di cui Andreotti non si rese conto sino in fondo è che, al finire degli anni Ottanta, la società italiana era andata radicalmente cambiando, e la tenuta dei partiti politici sempre meno in grado di resistere agli scossoni che quella stessa società, grazie proprio alle colpe dei partiti, andava provocando nel corpo delle istituzioni. La crisi della Prima repubblica coincise in fondo con la prima volta in cui lo stesso Andreotti si ritrovò nelle vesti di imputato per colpe talmente gravi che esulavano dalle simpatie e dalle antipatie della lotta politica in senso stretto. Come affrontò questa situazione gli fa per molti versi onore, un misto di orgoglio e di umiltà, il sottoporsi a quella che fu anche una gogna giudiziaria senza però mai deflettere da una linea di condotta appassionata e insieme austera.

Fra i politici dell’ultimo cinquantennio, Andreotti fu il più ironico, il più romano nel senso di quella romanità un po’ cinica un po’ bonaria che fece la gioia di generazioni di cronisti parlamentari. Era un politico chiaro, pragmatico, che non si prendeva sul serio più di tanto, consapevole che siamo tutti esseri umani, e quindi fallaci, ma al tempo stesso consapevole di non essere circondato da giganti del pensiero, politico,. Ideologico o culturale che fosse. Amava i libri, fu un attento cultore del cinema, anche quando, da sottosegretario alla Cultura negli anni Cinquanta, fu polemico nei confronti del neorealismo, in un’ottica di dignità nazionale sbagliata, ma nello stesso tempo nobile, l’idea cioè che “i panni sporchi”, come lui stesso disse, andassero “lavati in famiglia”.

Fu un uomo di potere, ma il suo potere fu sempre e solo squisitamente politico: non si arricchì, non si preoccupò più di tanto della corrente che a lui faceva capo, ebbe sì amicizie spregiudicate, ma in quella logica tipicamente machiavellica per la quale non si governa con i paternostri, si deve essere volpe ma anche leone, combattere, ma anche trattare, cambiare idea quando il mantenerla vuole dire soltanto condannarsi alla sconfitta. E’ stato un protagonista della nostra storia politica, nel bene come nel male.Quel Giulio io ll’ho conosciuto prima a Roma e poi a Milano in due situazioni diverse. Una prettamente politica e l’altra un dopo Teatro al Ristorante El Toulà alla Scala, una serata organizzata dagli Amici della Lirica con Daniela Javarone e il marchese Alberto Litta.

Allora era sindaco Gabriele Albertini che per lui Andreotti era un mito e lo sapeva imitare anche abbastanza bene. A tavola accanto a lui quel giorno c’erano anche i miei figli ancora giovani, Martina e Lorenzo , nipolti del sindaco e con loro facemmo diverse foto. Andreotti si prestò con molta affabilità e mi ricordo che mio figlio che era un ragazzino rimase colpito dalle sue oreccchie e mi disse “mamma, ma le ha avute sempre così?”. Ed io risposi “per sentirci meglio…” come recita la favola di Cappuccetto Rosso. Si scherzò. Albertini zio dei miei nipoti era al settimo cielo e tutti gli ospiti furono soddisfatti dall’acume, dal sapere politico e non solo, dall’intelligenza, dall’ironia e persino stupefatti dalle battute del grande protagonista di “Il Divo” del1908, del regista Paolo Sorrentino e interpretato da Toni Servillo. Mi viene in mente ora che una volta dopo il processo che lo aveva visto imputato, lo incontrai lungo i corridoi de Il Giornale di via Negri mentre entrava nell’ufficio di Feltri Costretto a difendersi dalle accuse di mafia, mi dissecon grande rammarico che spese tanti di quei soldi per questo dura battaglia che fu costretto alla fine a fare anche della pubblità per raccogliere fondi per pagare gli avvocati.L’avvocato Coppi fu l’artefice della sua “vittoria”. Mi salutò con cordialità e durante la breve attesa mentre guardava incuriosito una statua di bronzo, un busto per l’esattezza retaggio dell’epoca di Montanelli.

I funerali si terranno a Roma in San Giovanni Battista dei Fiorentini, alle ore 17, in forma privata, accanto a casa sua, non lontano da piazza Navona. Andava spesso a messa e pregava, a volte legegva sul pulpito. Racconta il suo Parroco che gli portò fino a tre giorni fa la Comunione a casa non potendosi a muoversi. Il suo studio fu allestito come camera ardenti. Ieri una folla sfilava silenziosa e commossa per l’ultimo saluto. Un 20013 non solo di crisi, ma anche di gravi perdite di personaggi che hanno fatto la storia in piccola e in grande del secolo appana scomparso:dalla Thatcher a Manganelli, dalla Proclemer alla Falck, dalla vedova di Borsellino a Jannacci fino Califano.


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