MERET OPPENHEIM…OPERE IN DIALOGO DA MAX ERNST A MONA HATOUM AL MUSEO LAC DI LUGANO
Fino al 28 maggio al nuovo museo LAC Lugano Arte e Cultura, a cura di Guido Comis e in collaborazione con Maria Giuseppina Di Monte, la bella mostra “Meret Oppemheim..opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum… Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum”, dedicata a una delle artiste più celebri del Novecento, qui presentata accanto ai maggiori esponenti del movimento dada e surrealista e a figure di rilievo nel panorama dell’arte contemporanea.
A cura di Guido Comis, curatore MASI Lugano, in collaborazione con Maria Giuseppina Di Monte, direttrice dei Musei Andersen, Manzù e Praz di Roma e studiosa dell’opera di Meret Oppenheim, l’esposizione è realizzata anche grazie al contributo di importanti collezioni private e istituzioni pubbliche svizzere e internazionali.
Chi è questa grande protagonista del Novecento? Meret Oppenheim (1913-1985) è una delle artiste più celebri del Novecento e autrice di opere divenute vere e proprie icone dell’arte del secolo scorso. Il suo straordinario fascino e la sua personalità si sono riflesse nella vita e nelle creazioni dei suoi amici e colleghi come Man Ray, Marcel Duchamp, Max Ernst, Alberto Giacometti, René Magritte e molti altri, facendone una figura centrale nella scena artistica degli anni Trenta. Attraverso un centinaio di opere, la mostra a lei dedicata documenta il suo intero percorso, dagli esordi nella Parigi dei primi anni Trenta fino alle esperienze non figurative degli anni Settanta e Ottanta. Nel percorso espositivo le sue creazioni dialogano con quelle dei maggiori esponenti del movimento dada e surrealista e di alcuni affermarti artisti contemporanei come Robert Gober e Mona Hatoum.
La mostra presentata dal Museo d’arte della Svizzera italiana (MASI Lugano) e curata da Guido Comis in collaborazione con Maria Giuseppina Di Monte, ha luogo a pochi passi da Carona, borgo caro all’artista che lì, nella casa di villeggiatura di famiglia, trovò un rifugio sereno anche nei momenti più inquieti della sua esistenza. Le opere esposte evidenziano la fitta trama di rapporti che legarono Meret ai più anziani e spesso già celebri colleghi dell’epoca, ma soprattutto sottolineano il suo autonomo profilo di artista vicina al Surrealismo non per spirito di emulazione, ma poiché riconobbe nel movimento di Breton l’espressione di una sensibilità prossima alla propria: «Non sono io – disse – che ho cercato i surrealisti, sono loro che hanno trovato me». La mostra permette dunque di emancipare Meret Oppenheim dall’immagine di musa e di modella che in passato ne ha spesso e ingiustamente oscurato l’opera.
Un intelligente percorso espositivo fa comprendere in sezioni tematiche, ognuna delle quali mette in luce un diverso aspetto e momento del suo processo creativo: dal rapporto di intenso scambio di idee che, al suo arrivo a Parigi all’inizio degli anni Trenta, intrattenne con i colleghi dadaisti e surrealisti, alle composizioni astratte degli anni Settanta. L’esposizione si apre con alcune creazioni esito dell’incontro fra la giovane e irriverente Meret Oppenheim e le opere dei colleghi Marcel Duchamp, Man Ray, Jean Arp, Max Ernst e altri ancora. Il percorso prosegue con oggetti come tazze, boccali, scarpe e guanti che, come fossero entità animate, manifestano i segni di una vita propria, sviluppando pelliccia o coda, vene e capillari o unendosi in baci appassionati. È poi la volta dei dipinti in cui l’artista si trasfigura prendendo le sembianze di personaggi fiabeschi o legati al mito: la donna serpente, la donna uccello, la donna di pietra. Emerge dai dipinti anche la relazione viscerale che lega l’artista alla terra. A queste composizioni fanno da contraltare rappresentazioni del cielo e degli astri: visioni premonitrici o creazioni che adombrano significati escatologici. Una sezione di ritratti e autoritratti di Meret e dei colleghi permette inoltre di dare un volto agli artisti presenti in mostra e di apprezzare l’attitudine della cerchia surrealista a mettere in gioco, attraverso travestimenti o interventi sui ritratti, il proprio volto e la propria identità. Contigua a questa sezione è infine quella dedicata ai volti fantastici e alle maschere create da Meret e dai colleghi. Si tratta di sculture e dipinti, ma anche di maschere ideate in occasione delle celebri feste di carnevale di Berna e Basilea, pensate tanto per celare quanto per rivelare aspetti reconditi della personalità di chi le indossa.
Non mancano rappresentati in mostra anche alcuni artisti contemporanei affermati – Robert Gober, Mona Hatoum, Birgit Jürgenssen – le cui opere si ispirano o rimandano in modo indiretto alle creazioni dell’artista svizzera. È così possibile apprezzare la forza di suggestione che le invenzioni di Meret Oppenheim hanno avuto sulle generazioni della seconda metà del Novecento. Ad accompagnare la rassegna è stato pubblicato un catalogo in edizioni italiana e inglese (Skira) con immagini di tutte le opere esposte e contributi dei curatori e di specialisti dell’opera di Meret Oppenheim: Martina Corgnati, Bice Curiger, Heike Eipeldauer, Josef Helfenstein, Daniel Spanke; oltre a testimonianze di Lisa Wenger, Dominique Bürgi e Christoph Bürgi.
Si possono avere visite guidate gratuite che si svolgono ogni domenica alle 15:00. Sono previste per tutta la durata della mostra numerose attività di mediazione culturale volte a favorire la fruizione da parte del pubblico e a trasformare la visita in un’esperienza arricchente ed emozionante. Nel corso del primo semestre dell’anno, oltre all’omaggio a Meret Oppenheim, il MASI Lugano presenterà al pubblico opere recenti e inedite del britannico Craigie Horsfield attraverso un progetto realizzato in collaborazione con l’artista stesso e il Centraal Museum di Utrecht (12.03 – 02.07.2017) e le ricerche di due protagonisti indiscussi dell’arte italiana del dopoguerra, Alighiero Boetti e Salvo (09.04 – 27.08.2017). In concomitanza con quest’ultima mostra, fino al 23 luglio 2017, verrà proposto presso lo Spazio -1. Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, un allestimento dal titolo “Torino 1966-73” volto a documentare il clima artistico torinese tra gli anni ‘60 e ‘70. Così la gigantesca costruzione in metallo scuro ma delicata per sviluppo architettonico (progetto dell’architetto ticinese Gianola), sguarda il Lago di Lugano da una parte e volge le spalle al Museo d’Arte Moderna dall’altro e a Via Nassa, cuore della ridente cittadina Svizzera del Canton Ticino.