MARE MARE MARE FAMMI NAUFRAGARE…PORTAMI LONTANO SULLE TUE ONDE…
“Uomo libero sempre ti sarà diletto il mare ..tua la gloria, tua la potenza…implacabili…avvinti”. Così recitava Charles Baudelaire..”..Sempre il mare uomo libero amerai”. Anche intellettuali, pittori, scrittori, fotografi come Cartier Bresson hanno affrontato questo tema. Tempo d’estatee, ma non solo per questo si parla del mare..il mare avvince sia d’estate che d’inverno e tanti hanno perso la vita, pescatori, migranti, velisti, marinai. Dicono i marinai che sul mare, all’alba, “il vento scrive”. E’ una grafia sottile, come se si provasse su e giù, in lungo e in largo, il pennino di una stilografica, ma non è mai una grafia uniforme, perché non c’è un’onda che sia eguale a un’altra onda e poi c’è il gioco delle correnti…Da quella scrittura possono emergere racconti di naufraghi e di sirene, giri del mondo in solitario e naufragi dovuti alla furia degli elementi, all’imperizia degli uomini, alla potenza omicida delle creature marine. Così, l’insieme si presenta come un portolano di storie, zigzagante eppure fedele alla rotta prescelta, nelle sue scelte più rischiose eppure paziente nella saggezza di chi conoscendo il mare lo rispetta sempre e non lo sfida mai, libero nel suo far vela verso un porto sicuro o nel suo farsi prendere dalla felicità che ti dà il navigare senza limiti di tempo e di scopi.
Dal tempo dei Fenici , ma ancora prima le conquiste dei territori avvenivano anche attraverso il mare. Le Repubbliche marinare, Venezia, Genova ecc, i Vichinghi e chi piu’ ne ha piu’ ne metta…da Vasco de Gama a Colombo addirittura erano scopritori di altri continenti mai conosciuti. Affrontare il mare aperto è, si sa, da sempre l’avventura delle avventure, la sfida da cui originano le più incredibili scoperte, la metafora stessa della vita. Così grandi scrittori scrittori si sono così ispirati e misurati con gli abissi…Inoltre, il mare resta oggi lo spazio più classico con cui misurarsi con il nostro passato, l’unico che ci permetta una ritualità di gesti, comportamenti, osservazioni che per secoli si è mantenuta intatta. Lì dove sulla terra ferma la modernità avanza, cancella e modifica incessantemente, qui rimane quel senso di immutabilità che è insieme storia e memoria, radicamento e conoscenza. Curioso il fatto che spesso, per tutto l’ultimo secolo, la gente di mare non sapeva nuotare, ne aveva paura anche a volte chi della barca la notte se ne doveva uscire a pescare estate e inverno con il mare piatto e con la tempesta.
Chi non avesse letto “L’onda del tempo”, “Percorsi d’acqua”, “ “De Monfreid-l’ultimo dei pirati, possiamo dire” di Stenio Solinas ha fatto un cattivo affare. Tutto cambia, tutto si evolve in peggio. Eco mostri invadono le spiagge , la natura viene deturpata, il turismo di massa lascia dietro di sé detriti…Il disagio nei confronti del proprio tempo è purtroppo una ferita sempre aperta e ogni giorno che passa si porta via qualcosa che abbiamo amato. Torneremo in quel porticciolo dove anni prima una semplice locanda ci regalò la felicità e troveremo al suo posto una marina da yacht e un cattivo ristorante superlusso; un approdo solitario diverrà un concentrato di imbarcazioni spetezzanti, un alba e un tramonto intinti di silenzio verranno rovinati da qualche zumzumzum a tutto volume…Sempre più luoghi, abitudini, consuetudini che furono nostri subiscono l’umiliazione e/o la distruzione del nuovo di massa che avanza e si impone. Accerchiati, non ci arrendiamo, ma ciò che era prima indifferenza e poi ironico disprezzo, immancabilmente diventa odio. Siamo sempre di meno, siamo sempre più soli, abbiamo sempre meno vie di fuga. Capri sta scomparendo..se la montagna che stava sopra tutta Marina Piccola dove scorreva la strada magnifica a tornati sottili, con muretti incantevoli dove ogni tanto ti fermavi per prendere fiato, cosruita dall’industriale tedesco, il re dell’acciaio Krupp..unendo così a piedi la parte alta e il centro di Capri con Marina piccola senza prendere autobus che oggi inquinano e fanno mezzo giro dell’isola per arrivare a pochi stabilimenti sul mare….una tragedia che politici per primi e capresi per secondi se ne infischiano, tanto le masse in giornata di turisti arrivano lo stesso a consumae..
E quando si parla di mare, s’intende soprattutto, e forse sempre, il Mare nostrum, il Mediterraneo, perché è qui la sua realtà più importante, perché non c’è tratto di costa, isola, scoglio che non rimandi a un’epica, un nome, una battaglia, una poesia. Si veleggia cullati dall’onda del Tempo, immersi e persi in un immobile presente. La vita è qui. Tornati a terra ci attende la sua caricatura.
Per Keats il Mediterraneo era il “regno dell’usignolo”, per Tennyson quello dei “mangiatori di loto” Si andava per e su quelle acque per dimenticare stanchezze e afflizioni, agitazioni e lutti. Era il mare simbolo di civiltà, dalla cui spuma nascevano le divinità, lì dove si respirava l’immortalità. Fino a tutto l’Ottocento, per il viaggiatore occidentale che lo attraversava, che sostava sulle sue rive, che vi si avventurava per nave, era come nuotare in mezzo alla storia. In La passione del sud, John Pemble racconta di come per un inglese ben istruito, le descrizioni di un Omero o di un Erodoto, di un Virgilio o di un Livio si presentassero immediate e immutate. John Stuart Mill se ne andò a spasso per Siracusa avendo per guida il resoconto che Tucidide aveva fatto dell’assedio navale ateniese del 415 a.C. e che lui, ragazzo, aveva letto al college: “Mi aggiravo per il porto come se lo conoscessi da anni”. Lord Curzon, che visitò la Grecia nel 1873, si dimenticò che fosse quella di re Giorgio regnante: “E’ la Grecia di Pericle e Fidia, di Aristotele e Platone”.
“Scivoliamo verso l’Italia /e la giovinezza” scriverà Robert Browning nell’accingersi a descrivere la sua discesa sulla costa tirrenica, il richiamo del sole e del sud, l’idea di abbandonare freddi e oscurità, malattie e convenzioni, inquinamenti e tristezze. Per un inglese, un francese, un tedesco era una sorta di cammino verso la resurrezione: ci si addentrava nell’età senza tempo della metastoria, dove tutto era stato dato una volta e per sempre, dove natura e cultura si erano unite per dar vita a un’esistenza impareggiabile, per raccontare la bellezza del mondo.
Non sono da meno i pittori a dediacarsi a tea del mare: Corot, Sislej , Degas, Matisse, Monet, Manet, Cesanne,Constable, Gericaud, Courbet…ma anche italiani,De Chirico, Carrà, Casorati; spagnoli, i fiamminghi… americani. La luce del Mediterraneo…e non solo. Pittori come Turner e Leighton, scrittori come Ruskin e Vernon Lee cercarono di fissarla nelle tele, di rievocarla nelle pagine scritte. Venivano da una nazione avvolta nella notte perenne, dove le ciminiere spurgavano a cielo aperto, dove reti di filo metallico venivano messe alle finestre per bloccare la caligine. La luce a gas dava un’idea di evanescenza, di ombre, la nebbia avvolgeva persone e cose, nascondeva i contorni…Il contrasto non poteva essere più stridente, l’impatto più choccante. L’azzurro del Mediterraneo era la salvezza, la salute, la gioia. Architetti come Le Corbusier che costruiva come a Marsiglia immense unità d’abitazioni e aveva il suo cabanon vicino a Cap Ferrat…davanti ai suoi occhi una lunga spiaggia…migliaia di nuotate, di bracciate fino a morire. Lui il padre dell’architettura moderma. Altri , poeti per esempio come Keatz e Byron, le loro sfide nel Gollfo dei Poeti, Lerici, per l’appunto.
Ernest Junger si innamoro’ dell’Isola di San Pietro al punto che gli venne in qualità di botanico e zoologo consacrata una specie di insetto da lui scoperto. La Saphyrina. Mare e Sardegna D.H. Lawrence scrive un inno panico alla natura, ai colori, ai costumi di quell’isola e quel mare immersi nel sonno del passato: “La Sardegna è un’altra cosa, Niente di definito, nulla che abbia un fine. E’ come la libertà”. All’inizio dei nostri anni Trenta il giovane Elio Vittorini, in Sardegna come un’infanzia, racconterà ancora il profumo del mirto, le distese di sabbia bianca, il piacere della solitudine, il fascino del silenzio: “Io so cosa vuol dire essere felice nella vita…Levarsi prima dell’alba e nuotare, solo in tutta l’acqua del mondo, presso a una spiaggia rosa”. E però, il più struggente epitaffio per il Mare nostrum, per l’incanto di un modello del vivere inimitabile e irripetibile è in quel Ferito a morte di Raffaele La Capria che resta uno dei più bei romanzi di formazione del nostro Novecento, quando il protagonista si rende conto di un’ armonia perduta, di suoni, colori, gusti, di un’estetica del vivere così perfetta che chi si trova a ereditarla pensa sia merito suo, sia un qualcosa di familiare che non gli debba né possa esser più tolto, uno stato naturale della mente e non una conquista, faticosa, da difendere, da tutelare giorno dopo giorno. “Dura pochissimo la Iubris, l’inconsapevole momento vittorioso, La Grande Occasione a tiro. Intanto la Natura compie il suo lavoro e tutto procede secondo i piani da lei stabiliti, non un segno speciale nel cielo, le giornate tutte uguali e indifferenti. Così, in una giornata uguale alle altre arriva la Nemesi, la Grande occasione mancata”.
Echi lontani di un fascino e di una bellezza che forse solo l’Ile de Re o la Bretagna in alcuni punti sanno ancora restituirci quell’incanto. Non mi inoltro nei mari del nord o nell’Isola di Faro cara a Bergman, mi limito e finisco con il dire che la nostra Grecia sta quasi somparendo…lontana da quella cosa che era stata e che faceva di noi ragazzi bande di felici sognatori.