ADDIO JOHNNY HALLYDAY “SIMBOLO DI FRANCIA” HA RECITATO MACRON AL TERMINE DEL LUNGO CORTEO FUNEBRE LUNGO LES CHAMPES ELISEE.

Halliday 1images Funerali così imponenti li aveva avuti per ultimo Victor Hugo. Ora tocca, segno dei tempi, senza nulla togliere al cantante Hallyday, il primato dei moderni addii. “Johnny Hallyday è stato un simbolo in Francia paragonabile a Brigitte Bardot, Jean-Paul Belmondo e Alain Delon. Ognuno di loro è stato accostato alle destre succedutesi sotto la V Repubblica. Ma non si può essere famosi cantanti e attori – Hallyday è stato entrambi – per decenni senza fare i conti col potere, quale che sia. La Nouvelle vague cinematografica aveva trovato sostegno alla fine degli anni ’50, nell’atmosfera del primo gollismo, che voleva dare un segno di rottura col clima di egemonia culturale social-comunista ereditato dal dopoguerra. E sono della fine degli anni ‘50 anche i primi successi canori di un adolescente dall’infanzia triste, Jean-Philippe Smet, che in arte assume il cognome dei cugini americani e modifica il nome di battesimo da Jean in Johnny.

In quel momento Hallyday va controcorrente rispetto agli umori dominanti del suo paese, che – perduta l’Algeria – sta per uscire politicamente (non militarmente) dall’Alleanza Atlantica egemonizzata dagli Stati Uniti. Mentre “regna” il generale De Gaulle, è Georges Pompidou a governare, che gli succederà all’Eliseo nel 1969: retrospettivamente, Hallyday ne avrà nostalgia. Ma è Valéry Giscard d’Estaing che, nel 1974 e nel 1980, da Hallyday riceve un aperto appoggio. Con la prima moglie, Sylvie Vartan, anche lei cantante di enorme successo, si fa fotografare nel 1974: indossano la maglietta con la scritta “Giscard à la barre” (“Giscard al timone”), slogan della campagna elettorale di Giscard, che – come Hallyday – è un americanizzatore, ma su ben più vasta scala che il mondo della canzone. Se nel 1981 mancherà la rielezione, è anche per questo filoamericanismo: Jacques Chirac, coi neogollisti, non lo sostiene e così è François Mitterrand, socialista, a diventare presidente.

Tra Mitterrand e Hallyday non c’è intesa, perché lui ha sostenuto Giscard nella campagna per la rielezione mancata. In privato HalldayimagesHallyday giudica Mitterrand buono solo per gli “intellettuali”, come racconterà – ma solo nel 2013 – nell’autobiografia (Dans mes yeux, Plon), Nel 1985 Hallyday è però accanto al segretario comunista, Georges Marchais, sul palco della Festa dell’Humanité, quotidiano del Pcf. E nel 1992 – Mitterrand è stato rieletto nel 1988 – è sul palco accanto a Bernard Tapie, socialista, sostenuto da Mitterrand nelle elezioni regionali della Provenza.  Ciò non impedisce a Hallyday di appoggiare la campagna elettorale presidenziale di Jacques Chirac vincente del 1996. Nel 1997 sempre Chirac gli conferisce la Legion d’onore. E nel 2005, immemore dei moniti di De Gaulle, Chirac chiede a Hallyday di intervenire nella campagna referendaria sulla Costituzione europea. Hallyday dichiara dunque: “Se la Costituzione sarà respinta, molta gente dovrà lasciare la Francia. Noi non possiamo restare fuori dall’Europa. Non sarebbe un bene”. I francesi di allora sono ancora sensibili alle lusinghe, mescolate alle minacce, e la Costituzione è approvata.

Nel 2012, poi, Hallyday cena con il socialista François Hollande e, una volta che costui sarà eletto, si dice certo che “per la Francia sarà un ottimo presidente”. Nel primo anniversario della strage nella redazione di Charlie Hebdo, viene così incaricato di dar voce alla tristezza della Francia con la canzone Un dimanche de janvier (“Una domenica di gennaio”). Ci rimane male Nicolas Sarkozy, presidente uscente. Come sindaco di Neully, nel 1996, è stato lui a sposare Johnny e Laetitia. Ed è stato lui che, nel 2007, ha portato Hallyday a un suo comizio, iscrivendo al suo partito tanto Johnny quanto Laetitia e il loro figlio David. L’idillio politico si rompe nel 2014, quando, in un’intervista al settimanale Le Point, Hallyday dice: “Non credo più in Sarkozy. M’ha deluso. Non propone nulla di nuovo. Personalmente mi piace molto, ma non credo nella politica odierna. Bisognerebbe che apparisse qualcuno… Pompidou era formidabile”.

Bernard Schmitt, regista degli spettacoli canori di Hallyday, sintetizza questo atteggiamento sospetto di opportunismo: “Sono sempre stati più i politici ad avvicinarlo che lui ad avvicinar loro. Come un turista davanti all’Arco di trionfo, ognuno vuol farsi fotografare davanti a Johnny”. Del resto è vero ovunque che sottrarsi alle attenzioni pelose dei politici, specie quando si hanno notevoli redditi, espone a controlli fiscali più che accurati. Anche per questo Hallyday ha avuto la residenza in Svizzera.

“Negli anni ’60, ai tempi della Fédération des Etudiants Nationalistes (Fen) correva voce che Hallyday, giovanissimo, avesse militato per qualche mese nel movimento Jeune Nation. Non ho mai saputo se ciò corrispondesse alla realtà.Uomo di spettacolo, Hallyday poco s’interessava alla politica. E’ stato popolarissimo e soprattutto sensibilissimo al consenso, intendendosi bene con Giscard, Chirac, Sarkozy o chiunque altro, Certo era molto filoamericano per i suoi legami con lo show business negli Stati Unti. E non è casuale lo pseudonimo americano scelto a inizio carriera”, dice Alain de Benoist, coetaneo di Hallyday e militante politico negli stessi anni in cui brevemente lo sarebbe stato Hallyday. Nell’autobiografia Halliday (2013) però ha scritto: “Ho una sensibilità di destra. Non mi piace la mediocrità. Penso che la sinistra vi sia incline». Aggiungendo: «Non c’è un politico nel quale io creda: tutti ci hanno mentito». E’ così che Maurizio Cabona ha voluto e saputo ben ricordare su “La Verità”uno dei più grandi cantanti contemporanei.


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