AL MUSEO FORTNUTY DI VENEZIA QUATTRO GRANDI MOSTRE
Luciana Baldrighi
Da Venezia
“Cinerina” era il soprannome che Gabriele d’Annunzio aveva dato a Romaine Brooks, alludendo al grigio della sua tavolozza da pittrice. E infatti nel ritratto di lui fatto da lei nel 1912, color cenere è anche il mare che circonda la silhouette del Poeta in esilio, questo il titolo del quadro, a nobilitare una fuga dall’Italia per scappare all’ira dei creditori…Il volto dell’artista è grigio-avorio, il cielo grigio-rosa, e grigio-chiaro e grigio-scuro sono le tonalità della mantella e dell’abito a tre pezzi che indossa. Eppure, da questa apparente uniformità d’Annunzio vien fuori quasi trasfigurato, una piega amara sul volto, un che di allucinato che nulla ha a che vedere con il languore e il pallore decadente della cosiddetta Belle Epoque. Basta contrapporgli un altro celebre e coevo ritratto della Brooks, quello dedicato a Jean Cocteau, per rendersene conto. La torre Eiffel sullo sfondo, il giovane poeta francese è allampanato nel suo grigiore, ma tutto intorno a lui, fiori, alberi, case e monumenti, ha il tono di una fiaba infantile e Cocteau sembra un liceale in libera uscita.
Delle quattro mostre che celebrano “L’inverno a Palazzo Fortuny” e per certi versi tengono a battesimo il Carnevale di Venezia, quella dedicata alla Brooks, e incentrata su dipinti, disegni, fotografie, è il compendio ideale. Se “Ritratto di una musa. Henriette Fortuny” è il racconto della donna che fu l’ispiratrice di Mariano Fortuny, fotografo, scenografo, creatore dei tessuti che portano il suo nome, e i quadri di Ida Barbarigo (“Erme e Saturni” è il titolo dell’esposizione) e le foto di Sarah Moore (“Omaggio a Mariano Fortuny”) illustrano uno dei luoghi più suggestivi della città lagunare, le ampie vetrate, i giochi di rifrazione creati dai tessuti e dai panneggi degli abiti ideati dal suo proprietario, nella vita e nella produzione della Brooks l’atmosfera di Palazzo Fortuny esce addirittura esaltata e quasi senza tempo, uno spazio dilatato che incarna un’epoca.
Nata a Roma nel 1874, da genitori americani, sposata con il pianista John Ellington Brooks, con cui condivise il nome, ma non il letto (erano entrambi omosessuali), Beatrice Romaine Goddard è una delle figure più interessanti della scena artistica del primo Novecento. Amica e amante di Nathalie Clifford Barney, detta “l’amazzone”, ma anche di Ida Rubinstein, danzatrice mediocre eppure magnetica dei balletti di Diaghilev, a suo agio nei circoli più sofisticati di Parigi, Londra, Venezia, anima della piccola colonia raffinata, cosmopolita e trasgressiva di Capri, Romaine fu artista e mecenate, affidò alle sue memorie il ricordo di quell’epoca, catturò nei suoi quadri l’anima dei soggetti che per lei si misero in posa. Da Paul Morand a Luisa Casati, sono i ritratti della Brooks a raccontarci chi essi fossero veramente, il volto orientale e l’indecifrabile sorriso del primo, l’androginia luciferina della seconda…. “Cambrioleuse d’^ames”, rapinatrice di anime la definì Robert de Montesquiou, il principe dei dandies.
Inizialmente influenzata dalla pittura di Whistler, Romaine ebbe presto una cifra stilistica tuta propria, caratterizzata appunto dall’incredibile varietà di grigi e di rosa spenti, ma è nei suoi disegni lo specchio più profondo della sua anima tragica e solitaria. Senza alcun orpello decorativo, raccontano un mondo interiore in bilico fra la luce e le tenebre, un’infanzia infelice all’ombra di un fratello amato, bellissimo, ma demente, e d’una madre anaffettiva, possessiva e autoritaria, un’adolescenza inquieta e turbata da una sessualità “diversa” e sentita come una colpa.
Prima esposizione in assoluto a lei dedicata in Italia, la mostra (curata da Jérome Merceron, catalogo a cura di Daniela Ferretti e Jérome Merceron, fino al 13 marzo) è stata resa possibile dall’incontro con Lucile Audoy, collezionista parigina, a cui si deve il prestito di un importantissimo nucleo di opere, molte delle quali inedite.
Di particolare interesse è la sezione dedicata a Ida Rubinstein, che fu modella trasfigurata per alcuni nudi della Brooks, La Venere triste, Il tragitto, La Primavera, e il soggetto di una serie di quindici nudi fotografici. Ida, lo abbiamo detto in precedenza, era stata a inizio Novecento la stella più fulgida dei Ballets Russes di Sergei Djagilev, la partner di Nijinsky in Schéhérazade. Alta, capelli bruno-rossi, la pelle di un biancore statuario, profilo eretto, occhi grigi, era interamente “altra”, “troppo bella, come un’essenza orientale che profuma troppo” dirà Cocteau quando apparve in scena nelle vesti di Cleopatra… “Ha il dono dell’incarnazione e il senso del teatro” aggiunse per sottolineare la possibilità espressiva dell’immobilità. La Rubinstein non danzava, appariva.
La Brooks fece del suo corpo una materia prima, una sorta di calligrafia immobile. Privilegiando la linea retta e l’angolo acuto, gli tolse le curve e anticipò l’espressionismo tedesco. Senza enfasi, nei dipinti come nelle foto, sembra quasi suggerirci uno scambio, un dialogo fra l’artista e la sua Musa, fatto di audacia e di ritegno, i due elementi su cui Romaine Brooks fece ruotare tutta la sua vita. Morirà a Nizza nel 1970, quasi centenaria, sempre più in solitudine, ma non dimenticata, una piccola corte di fedelissimi a farle da corona.