AL TEATRO ELFO PUCCINI UN INSOLITO GOLDONI E TANTE NOVITA'
Dopo i successi “Romeo e Giulietta”, “Il nipote di Rameau” e “Il bambino sottovuoto”, il Teatro Elfo Puccini ospita il Teatro Stabile del Veneto (Teatri e Umanesimo latino), “Il Ventaglio” di Carlo Goldoni con la regia un po’ discutibile di Damiano Micheletto con Alessandro Albertin, Daniele Buonaiuti, Kutiuscia Bonato, Giulia Brita, Nicola Ciaffoni, Emanueli Fortunati, Matteo Fresch, Gian Marco Maffei, Manuela Massimi, Giuseppe Nitti, Silvia Paoli e Pierdomenico Simone con le scene di Paolo Fantin e i costumi di Carla Tati. Disegno delle luci di Alessandro Carletti.
Dopo dieci minuti di spettacolo si leggeva sul volto del pubblico la domanda che anche io mi sono posta. Ma che senso ha fare una commedia di Goldoni non in costume con delle scene che potevamo vedere anche alla Biennale d’Arte di Venezia con i neon di Plessi o di Merz, grandi finte lavagne con costumi variopinti che potevvano andare dalla modernità (anni Cinquanta) fino ai nostri giorni, costumi da tennis inclusi o magliette americane? Par non parlare poi di una scenografia che va bene moderna o ridisegnata, come vedevamo nelle splendide piéces di Strehler moderne e classiche allos tesso tempo, lineari, pulite, dove il suono (inteso come musica) aveva una sua ragione anche come sottofondo. Spiritoso persino il balletto iniziale, ma che fatica seguire una lingua goldoniana, un testo puro come l’ha concepito Goldoni e poi vedere una sorta di balletto schizzofrenico da music-hall all’americana?
Tanto rumore per nulla. Sullo sfondo della lavagna la parola amore scritta in rosso e un ragazzo che la imbrattava scrivendo i legami sentimentali o supposti tali dei protgaonisti con un pennarello nero come solo un writer sa fare. Goldoni come non l’avrete mai visto. Può essere che piaccia a qualcuno: niente parrucche o costumi, d’epoca, ma diagrammi su questa grande lavagna con tutte le contaminazioni amorose dei protagonisti. Nero su bianco un annuncio paradossale “SMARRITO VENTAGLIO”. Perchè come tanti sanno questa bella commedia ruota tutta intorno all’idea geniale del prezioso oggetto, il ventaglio per l’appunto, che passa di mano in mano, comprato dal signor Evaristo dalla merciaia Susanna che va a causare un’intricata matassa sentimentale. Tutti vorrebbero trattenerlo o nasconderlo o usarlo come oggetto di potere o di ricatto, di piacere venale anche ma soprattutto visto più come uno strumento amoroso. Le consuete maschere goldoniane sono state mantenute; il geloso, l’innamorato, il locandiere l’aristocratico, la nobil donna…anche il linguaggio arguto e preciso originale, così pure il gioco ricco di trovate, ma che fatica per il pubblico entrare in sintonia con tanto trambusto tra antico e più che moderno, oserei dire per rendere l’idea “pop”. Ai giovani può essere piaciuto e anche a qualche meno giovane o addetto ai lavori, ma che bisogno c’era di stravolgere così uan scena che è entrata nella nsotra memoria e che deve essere tramandata come era. Sarebbe fare i baffi alla Gioconda, glieli ha fatti un grande artista surrealista, ma aveva un senso. Questa operazione che senso ha? Un giovane che si avvicina con fatica al teatro e agli autori che lo hanno reso grande, tirando fuori a fatica dalle sue tasche un bel po’ di euro (ora mostre e teatri sono quasi irraggiungibili per un giovane, nonostante qualche agevolazione), si vede un Goldoni così, di certo la sua cultura sarà distorta alla base. Poi ci lamentiamo se i giovani non vanno a teatro. Amo Bob Wilson, ho aprrezzato quasi tutte le avanguardie a suo tempo, ma stravolgere un Goldoni e in questo modo lo trovo un peccato di lesa maestà. Si parla di “Ritmo rossiniano per il Ventaglio di Micheletto”, ma vi ricordate che Ronconi qualche anno fa aveva fatto di questo Ventaglio una favola magica, leggendaria, ambigua ed evanescente proprio su questo frivolo oggetto portatore di eros insieme alle gelosie e i sentimenti di una piccola provincia? Questa leggerezza qui non la trovo, nonostante sia un buon cast ma che crea troppo scompiglio. Allora forse è meglio vedere “Momenti di trascurabile felità” di Valerio Aprea o le “Dissonanze” nel buio dell’America di Frongia, oppure “Nome di battaglia Lia” di Renato Sarti o “Viva l’Italia” le morti di Fausto e Iaio. Per chi ama la musica e le choitarre “Italy.Sacro all’Italia raminga” di Giuseppe Battiston che legge Giovanni Pascoli con musica, voce e chitarre di Giammaria Testa. Caro De Capitani ti aspettiamo tutti con simpatia e con la voglia di vedere le tue regie.