SONO ARRIVATI I LEONI E LA COPPA VOLPI ALLA 75a MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA. PRIMO CUARON CON “ROMA”….
C’era quasi da scommetterci su questa pellicola in bianco e nero che porta un nome evocativo, Roma. Netflix ha trionfato. Poi vi spiego il perchè. Ma chi si aspetta la storia della nostra Capitale o qualche cosa di analogo si sbaglia. Qualcuno ci avrebbe giurato, tanta la pubblicità prima della gare e poi il suo regista si chiama Cuaron e la dice lunga. Roma, di Alfonso Cuaròn, malinconico amarcord girato in uno splendido bianco e nero e ambientato nel Messico degli anni Settanta, ha vinto meritatamente il Leone d’Oro di questa Mostra. E’ la prima volta di una produzione Netflix e la seconda volta consecutiva di un regista messicano sul gradino più alto del podio. L’anno scorso era toccato a Guillermo Del Toro (La forma dell’acqua), quest’anno presidente della Giuria. Si può malignare su nu possibile “conflitto d’interessi nazionali”, ma senza esagerare: Roma meritava di vincere anche con un presidente di giuria esquimese… Giusto anche il Gran premio a The Favourite, di Yorgos Lanthimos, un film dai costumi e dalle luci slendide, una pellicola delicata e con una storia intelligente che piacerà sorattutto alla donne e a torto bistrattato da una critica che di questo regista sembra privilegiare, da The Lobster a L’uccisione del cervo sacro, una cerebralità gratuita qui fortunatamente assente. Niente da obiettare anche sul Leone d’Argento a The Sisters Brothers, di Jacques Audiard, intelligente riproposizione del genere western. Dove cominciano le perplessità è con il Premio per la miglior sceneggiatura ai fratelli Coen: The Ballad of Buster Scruggs è a mio avviso un’opera minore, dove di sceneggiatura non si puo’ proprio parlare… Dove queste perplessità si tramutano in dissenso e danno spessore alla accusa di un riconoscimento nella logica del “politicamente corretto” è con il Gran Premio della Giuria a The Nightingale, di Jennifer Kent, unica regista in gara, con annesso premio Mastroianni per il miglior attore emergente all’aborigeno Naaykali Gnmbarr.
Si ritorna alla normalità con la Coppa Volpi per la migliore attrice a Olivia Colman, la regina Anna di The Favourite, mentre il miglior attore a William Defoe, nella parte di Van Gogh in At The Eternity Gate, lascia un po’ l’amaro in bocca se si pensa al John C. Reilly di The Sisters Brothers … Tiriamo le somme e facciamo un bilancio. Un peccato che nulla sia andato al film il Primo uomo con Rayan Gosling nei panni di Amstrong, 2 ore di pellicola..con la sensazine di essere su quell’astronave, in particolare l’Apollo 11.
Il bilancio d’insieme della Mostra è comunque positivo: buona la qualità media, consapevolezza di essere ormai il principale punto di riferimento in campo internazionale. Per evitare l’accusa di trionfalismo, vale la pena di fare due appunti in forma di considerazioni. Il primo riguarda l’assenza di un film capace di staccarsi nettamente rispetto agli altri. Il secondo, che in qualche modo al primo è legato, è la scomparsa e/o l’affievolirsi dei film legati al nostro presente. Non ne ha parlato nessuno, se non, lodevole eccezione, Nanni Delbecchi sul Fatto quotidiano, e vale la pena approfondire la questione. E’ possibile che l’eccesso di presentismo, di iper-connessione, di “vita in diretta”, provochi in tutti noi, registi e sceneggiatori inclusi, una sorta di fuga dalla realtà, di rifugio nel passato, una specie di rivisitazione dei generi, per restare nel campo cinematografico, oppure un ripiombare nella storia quando la cronaca straripa da tutti i luoghi e da tutti i siti. E’ possibile inoltre che l’ingresso in campo di giganti quali Netflix, Amazon, segnino un nuovo corso della cosiddetta settima arte, convogliata verso una lettura e/o revisione del passato, lasciando la contemporaneità alla cura delle serie televisive. E’ possibile infine che il tramonto delle ideologie e delle utopie sia giunto al suo stadio finale: non ci sono più eroi, non ci sono più idee intorno alle quali costruire una narrazione esemplare che racconti l’oggi.
Come si vede, è un tema complesso e magari il prossimo anno la Mostra ci farà ricredere con una selezione di opposto tenore, capace di riconciliarci con un presente che comunque appartiene a noi. “La storia non ci fa. Noi facciamo la storia” si illude il nobile di Un peuple et son roi, il film di Venezia sulla Rivoluzione francese. Due secoli dopo, la scommessa è ancora la stessa. A me questa edizione della Mostra non mi ha fatto impazzire..film lunghi dalle due alle tre ore di poco significato ma dai titoli biblici…storici. Oraganizzata male per i giornalisti, pochi punti di appoggio di seduta anche nel giardino, solo due punti per mangiare qualche cosa furtivamente..ai quali si aggiunge un caffè verso il mare nella spianata davanti al Casino’. Per chi se lo puo’ permettere c’è l’Albergo e Ristorante delle Quattro Fontane, per un drink la Terrazza Campari, un ristorante non a buon mercato che ogni anno si monta e si smonta accanto e il Grand Hotel Excelsior. Sale stampa chiacciate, arie condizionate da fare inpazzire nelle sale, la Sala Darsena è il vero Polo Nord e i servizio vaporini con la città scomodo. Per fortuna è finita!