“CANTONA IL RIBELLE CHE VOLLE DIVENTARE RE”, UNA BIOGRAFIA DA NON PERDERE

Cantona 1image002 Era ora. Sono in tanti a dirlo, perché finalmente dopo tanto attendere è uscito nel nostro Paese la storia di un persona che incarna la grandezza del calcio, la grandezza della fantasia, la voglia di mettersi sempre in gioco e di trovare sempre nuove emozioni. A parlare di questo evento è Maurizio Cabona su La Verità  con entusiasmo e maestria giornalistica.Mi fa piaceere riportare quelle righe…Eric Cantona ha vinto meno del dovuto, racconta Philippe Auclair in Cantona. Il ribelle che volle diventare re (Milieu Edizioni, pp. 367, euro 19,90), biografia che esce solo ora in Italia, ma che in Gran Bretagna è apparsa nel 2009 e che dunque lì si ferma. Eppure oggi, come allora, a ventidue anni dal ritiro dalle gare, non serve indicare il mestiere di Cantona. L’allusione del sottotitolo al racconto di Rudyard Kipling L’uomo che volle farsi re, lo accosta a un film di John Huston, mentre l’immagine di copertina viene da una partita tra Leeds United e Manchester United.

Se Cantona ha vinto meno del dovuto, in compenso si è rivelato più che un campione: si è rivelato il nuovo Spartaco, per chi ricorda Roma antica; o, per chi ricorda i film, è il Jonathan Hi del Rollerball di Norman Jewison (1974) che si è calato nella realtà, un atleta che nel 2018 – proprio l’anno che immaginava Jewison – è così carismatico da minacciare involontariamente il potere delle multinazionali. Infatti, dopo avere smesso di giocare, Cantona è diventato attore e produttore cinematografico e in quest’ultima veste, nell’autunno 20010, la crisi economica l’ha contrariato al punto da indicare il colpevole nel “sistema in cui viviamo [che] si fonda sulle banche. Non armiamoci per uccidere, per fare la rivoluzione… Oggi la rivoluzione è semplice. I milioni di persone, che in questi giorni protestano per le strade, per farsi ascoltare dovrebbe solo ritirare i loro soldi dalle banche”.

Cantona però non suggeriva, in alternativa, dove mettere i risparmi. Trasferiva solo settecentomila euro da una banca d’affari Crédit Agricole. Christine Lagarde – che poi guiderà il Fondo Monetario Internazionale – trattò dunque il campione con tale alterigia da accrescerne la popolarità. Lei non lo sapeva, ma Cantona leggeva libri, anche quelli di Ezra Pound. Proprio lì Cantona aveva scoperto teorie economiche non ortodosse, sintetizzate dal poeta americano in tre versi che cominciano in latino e finiscono in inglese: “Bellum cano perenne / between usura and the man / who wants to do a good job”. Anche se non pretende di “cantare la perenne guerra tra l’usura e l’uomo che vuol fare un buon lavoro”, Cantona si era rivelato testimone di un disagio generale.

Fare testimonianza, diceva Aldo Moro, non è far politica. Ma non è poco – in tempi di conformismo – dare un esempio. Dopo aver contestato il potere dell’usura, Cantona ha proposto un modello di vita di comunitario ne Il mio amico Eric, film da lui prodotto e interpretato, con la regia di Ken Loach, autore inglese famoso, ma da lui scelto soprattutto perché, oltre che regista, è dirigente di un piccolo club calcistico inglese, il Bath. Presentato e premiato al Festival di Cannes nel 2011 e al Grand Lyon Film Festival nel 2012, il film romanza un episodio reale: un tifoso del Leeds United lasciò la famiglia per seguire Cantona, passato al Manchester United, fino a diventarne l’alter ego nelle piccole questioni pratiche. Il personaggio principale del Mio amico Eric è dunque un postino di Manchester, con qualche problema familiare, che su di essi immagina di dialogare con Cantona, interprete di se stesso, mostrando auto-ironia (“Non sono un uomo, sono Cantona”) rara nelle celebrità e dissertando sull’importanza morale maggiore dell’assist rispetto al goal.

Nonostante le radici sarde (il nonno era di Ozieri) tenute ben vive (nel novembre scorso trattava l’acquisto di un edificio scolastico a Cuglieri per farne un museo), Cantona per gli italiani è rimasto un ricordo franco-inglese. Eppure, circa trent’anni fa, Milan e Inter pensarono a lui. Le aveva frenate il suo temperamento, che poteva dare problemi con gli altri giocatori e, soprattutto, con gli allenatori: in Francia ce n’erano stati di continuo. Per strapparlo a una carriera nata a Auxerre e proseguita tempestosamente tra Martigues, Ni^mes e Marsiglia, passando per Montpellier, con difficili rapporti anche con la Nazionale francese, Michel Platini lo propone al Leeds United. Anche lì il sodalizio non dura. Sempre Platini lo allora propone al Liverpool e allo Sheffield Wednesday: i rispettivi allenatori, Graeme Souness e Trevor Francis, ex giocatori della Sampdoria, lasciano cadere l’offerta, per la gioia di Alex Ferguson del Manchester United.

Qui, con Ferguson, per Cantona sono cinque campionati densi di successi: l’unico nel quale la squadra non vince nulla è quello nel quale un Cantona nervoso – è stato appena espulso sul campo del Crystal Palace – scalcia un tifoso che gli ha offeso la famiglia. Il gesto lo mette fuori dal campionato e non piace ai cronisti sportivi. Ma rassicura ogni mamma di Francia, categoria più vasta e più rispettata. Anche chi non l’ha mai visto giocare, nemmeno in tv, sa che Cantona ha fatto giustizia a modo suo, con un balzo da campione anche di kung fu sulla gradinata. Invece chi segue il calcio ne rimpiange bravura e gestualità (il colletto della maglia di gioco alzato in segno di sfida, mentre – da gladiatore – guarda gli spalti, dopo il goal), oltre che l’eloquenza efficace sebbene contorta.

Invase dai gabbiani, Genova e Roma coltivano il ricordo della metafora espressa da Cantona in una conferenza stampa: “I gabbiani seguono il peschereccio, perché pensano che delle sardine stanno per essere buttate in mare”. Dove i gabbiani sarebbero i giornalisti e la sardina sarebbe lui, Eric. Celebre anche l’omaggio a George Best, maglia numero 7 del Manchester United un quarto di secolo prima di lui: “Allenamento in Paradiso. George Best, ala destra, ha fatto girare la testa a Dio, terzino sinistro. Vorrei tanto mi tenesse un posto nella sua squadra. Best, non Dio”. Bravo Maurizio che ci hai pensato.


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