CENTO ANNI DI FOLLIA PRATICA DI FORNASETTI ALLA TRIENNALE DI MILANO. GENIO DEL DESIGN O FOLLIA CREATIVA?

Proprio in occasione del suo anniversario del giorna e del mese della sua nascita (11 novembre) del 1913, la Triennale di Milano ha voluto ricordare le magnifiche ossessioni di Fornasetti, artista “pazzo” e lo fa con una mostra dal titolo Cento anni di follia pratica”. Chi ha voluto questa mostra? Senza dubbio il presidente dell’ente di Via Alemagna, Claudio De Albertis e il direttore della Triennale, Cancellato.

Forse Fornasetti poteva inserirsi nel gruppo dei Surrealisti perchè ogni suo sogno si trasformava in una creazione, in un oggetto. Un creatore compulsivo incapace di rimanere fermo al punto da avere prodotto immagini su oggetti da lui creati e da questi altro ancora… Fino al 9 febbraio possiamo ammirare l’insieme della sua produzione, perchè Fornasetti, che piaccio o no (a me non ha mai fatto impazzire) l’inventore di uno stile che ha conquistato il mondo. Fantasia, metafisica e follia. Lo possiamo capire meglio legegndo il catalogo edito da Corraini, perchè quei piatti, quei vassoia, quegli obelischi, quegli oggetti inutili, sempre “stampati” in un certo senso, hanno fatto di questo artista un personaggio stravagante, amato dalla buona borghesia ma anche di chi d’arte se ne intendo, il che non vuole dire che la buona borghesia di arte vera non se ne intende, ma volevo semplicemente dire che spesso un certo ceto sociale subisce l’influenza della critica, della moda e della pubblicità, più di chiunque altro; forse nel caso di Fortnasetti ha subito persino il fascino strano della sua persoanlità…il tutto lungi da essere un genio come Dalì, ma forse questo Fornasetti lo segnava. Sono poche le persone veramente colte e capaci di compremdere uno stile d’arte, riconoscere uan certa valenza e nellos tesso tempo farne una seria critica. La critica non può essere sempre positiva, questo riguarda tutti i generi d’arte, ma dire che la bellezaz giustifica tutto o dire “mi piace” possa bastare per giustificare l’importanza o meno di un prodotto artistico. Ciò non toglie che ognuno può acquistare qualsiasi cosa e chiamarla arte, ma se vogliamo stare in certi criteri, dobbiamo cercare di essere seri e fare dei distinguo. In ogni caso per chi non conoscesse o non ha appartenuto alla sua epoca, i giovani per esempio, direi di vedere questa msotra, sempre che la Triennale adotti il criterio del pagamente di ingresso della mostra che sia un “prezzo politico” , come si diceva un tempo. E’ diventato quasi proibitivo ormai andare per mostre. Poi ci si lamente perchè i musei sonbo vuoti….. una famiglia deve rinunciare di questi tempi a mangiare fuori. Quattro persone che vanno a una msotra devono pagare la mostra, comprare la merenda ai figli, concedersi un aperitivo e almeno pranzare a tavola e alla sera cenare in una pizzerioa o in un ristorante, a volte ci si accontenta di una panineria. Al tutto si aggiunge il costo dei trasposti: Milano e Venezia hanno i trasporti più cari d’Italia. Allora come la mettiamo, facciamo cultura o penmsiamo ad arricchire amministratori, curatori di mostre e assesssori? La cultura dve essere alal portata di tutti, l’Inghilterra lo fa molto più di noi, anche la Germania e la Francia che hanno fatto della cultura uan vera e propria industria anche da espertare senza con questo svuotare le tasche ai cittadini. E poi ci si lamenta che i nostri ragazzi vanno al bar e stanno ora a chiacchierare con una bottiglia di birra in mano? La benmzina alle stelle, le bici le rubano e sono costose e rischiose, Milano non è una città per biciclette, la sua struttura architettonica e urbanistica non lo consente. Infatti sono cresciute le morti per incidenti anche tra i ciclisti secondo i dati Istat. Ma torniamoa  Fornasetti, ai suoi soli, ai suo volti, alle sue mani,..Questo dio del decoro e dell’arredo che ha fatto dell’artigianato qualche cosa di più nobile, forse era più intelligente di quanto possiamo pensare…la sua arte divertente e sempliciotta era studiata e uan volta capita la formula, Fornasetti non l’ha mollata, anzi ha cercato di codificarla al massimo… Era nato da un’agiata famiglia milanese che lo avrebbero voluto contabile, ragioniere, invece il ragazzo scelse il Liceo Artistico di Brera; fece anche un corso di Arte Applicata al Castello Sforzesco, alloraa una cosa seria. Ebbe per maestro Gianfilippo Usellini. E’ bella che la sua mostra sia stata curata dal figlio Barnaba che prosegue la sua opera. All’interno del percorso della msotra è infatti allestito lo studio di papà Fornasetti: i suoi disegni giovanili. le sue stampe, le sue pitture, una quadreria di dipinti realizzati negli anni Trenta e Cinquanta. Composizioni surreali alla Savinio e nature morte alla Morandi alle pareti, non mancani i De Chirico o i Guttuso…al centro della sala una teca dove ci sono in bella vista piccoe produzioni di Fornasetti. A volte appariva come un mago e le foto in mostra lo dimostrano, un mantello appoggiato su una spalla, il busto nudo e una mano tesa con il palmo aperto con disegnato un occhio o qualsiasi altra cosa…

“Il segreto di mio padre è stata la capacità di mettersi in giorco in un altro contesto….”, racconta Barnaba Fornasetti. In effetti Fornasetti aveva il talento di immaginare oggetti come spazi scenici. Fu amico di Gio Ponti, almeno per un decennio, in un periodo in cui disegna foulard; erano gli anni Quaranta e Cinquanta. Appariva con i suoi lavori su Domus quando la dirigeva Ponti, in particolare quando disegnò gli arredi per l’Andrea Doria, per il cinema come l’Arlecchino e mobili “Totali”, come tavoli, sedie, cassettoni, armadi…architetture classiche in bianco e nero sopra le quali venivano stampate le sue creazioni. Ora in mostra alla Triennale ci sono solo 1000 dei 13mila pezzi che fanno parte del suo archivio. E’ proprio per questi numeri che si è sempre detto che Fornasetti era un artista compulsivo e i suoi oggetti venivano lavorati e rielaborati in continuazione. Pesci morti, vedute di Venezia, soli, facce, gambe e persino cantanti appartenenti al mondo della lirica come fu il volto di Lina Cavalieri, tratto da una rivista di fine Ottocento, successivamente modificato in 350 piatti diversi. Se questa non è magia? Se questo non è il senso del gioco del bambino che abbiamo in  noi, che cosa è? Lui ha avuto il coraggio di proporlo. Il pubblico gli ha dato ragione. E’ come in democrazia bisogna accettare con serietà i vincitori anche se noi non li abbiamo votati. Per fortuna glia rtisti fanno meno danni dei politici, almeno se si fermano a fare opere di piccola dimensione. Già glòi architetti sono più pericolosi e Milano sta cadendo nelle mani di pessimi archittetti che stanno cambiando il volto e l’identità della città stessa. Di questo i milanesi ne sono consapevoli e se ne dispiacciono. City Life, le Varesine, l’Isola, Garibaldi, il Centro Direzionale…luoghi trasformati in Dasneyland dei costruttori e delle famose archi-star…è sulla parola “star” che dobbiamo soffermarci e riflettere bene.


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