Dai vulcani ai briganti è sempre questione di cuore
Il più grande scandalo cinematografico sentimentale, consumato tra Hollywood e nella Roma vitale del dopoguerra è stato consumato alle isole Eoilie. Storia di cinema e di amore, “la guerra dei vulcani” di Alberto Anile e Gabriella Giannice (edito da Le Mani di Genova), è un film documentario di Francesco Patierno presentato in questa 69a Mostra d’Arte Cinematografica di Vevezia con grande successo nela Sala Volpi che prende il nome dell’inventore della rassegna che quest’anno ha copiuto 80 anni, il Conto Volpi di Misurata.
La coppia più acclamata quanto discussa del neorealismo italiano venne travolta dall’arrivo dell’attice Ingrid Bergman, allora diva americana. Roberto Rossellini la volle ad ogni costo per interpretare “Stroboli”, togliendo il ruolo alla Magnani, sua compagna anche nella vita. Anna dal temperamento forte non si arrese e decise di realizzare comunque “Vulcano” e fu per rivalità e gelosia che chiamò alle Eolie il regista Wiliam Dieterle, il pioniere della cinematografia subacquea Francesco Alliata e i giovani cineasti della Panaria Film che per primo avrebbero voluto girare la storia a Stromboli. Una sfida a poche miglia di mare su due perle del Mediterraneo, cobattendo contro il caldo, i dubbi, i rimorsi e le esalazioni vulcaniche di zolfo. Per vincere i protagonisti non scartarono nulla, tradimenti, plagi, mentre il mondo mediatico giocava le sue carte sulla spregiudicatezza e i retroscena di una reazione che era finita e una nuova che stava per cominciare e che scandalizzò l’Itlietta puritana e bigotto. Vi ricordate la famosa frase della Bergman quando incontrò per la prima volta Rossellini? In sostanza, suonava su per giù cosi: “Io per lei sarei pronta per qualsiasi ruolo…”.
“La guerra dei vulcani è stato il primo libro che ha raccontato per filo e per segno la sfida di due film straordinari e l’eccezionalità dei protagonisti. Uscito nel 2000, pggi è stato ripubblicato in una nuova edizione aggiornata e rivisitata dal giornalista e critico cinematografico Anile e Maria Gabriella Giannice, giornalista dell’Ansa e un tempo critica per “Il Giornale” fondato da Montanelli. Si tratta di una vera esperienza critica e letteraria, ricca di dati e documenti, capace di legare la narrazione al contesto sociale e cinematografico dell’epoca, passado attrraverso la cronaca per arrivare al saggio storico.
Una festa all’Hotel Il Centurio di Venezia dove la Casa di produzione ha voluto vcelebrare l’evento organizzato da Andrea Patierno con “Todos contentos- y yo tambien”.con l’aito dell’editore Le Mani. Per l’occasione sono stati regalati vasetti di capperi di Vulcano che nessun invitato persino il più snob ha disdegnato l’omaggio.
Roberto, Massimo, Gabriella, Federico, Luisa, Martina e Martino, Paolo, Sergio, Rosa,Riccardo e Fede, Lorenzo dai noti cognomi che popolano da anni l’isola di Vulcano per le loro affascinanti quanto rurali case ai piedi del gigante dormiente, hanno apprezzato forse più di tutti la proiezione e il libro che è andato a ruba.
Una produzione dell’Istituto Luce-Cinecittà in collaborazione con Rai Cinema, Centro Studi Eoliano, Wide House, Todos Contentos Y yo tambien”. Un apprezzamento per la lavorazione del montaggio di Renata Salvatore, per la voce narrante Ilaria Stagni e per le musiche originali Santi Pulvirenti.
Un altro Meridione, un’altra storia d’amore e di possesso, un altro clima forte in cui si rincorrono passani e distruzioni è stata quella che ha visto la proiezione del film restaurato “Il brigante” di Renato Castellani, distrubuito in tutte le sale italiane nel 1961, che racconta la storia della rivolta dei contadini e dei braccianti della Calabria, tratto da un romanzo di Giuseppe Berto (Edito da Longanesi).
Girato nello stile del neorealismo post-bellico, il film si avvale di attori non professionisti, una rigorosa fotografia in bianco e nero, con il sapore di quella cinematografia fatta di impegno sociale proprio dell’epoca. Un film drammatico dove regna la paura, la fame e la vigliaccheria. Il solo tentativo di scuotere le coscienze addormentate va a finire male. L’eroe che è anche il protagonista, Michele Rende, si fa artefice del bene e del male al temo stesso . Un eroe romantico e idealista idealizzato dagli occhi di un bambino (un bravissimo spontaneo attore) molto coraggioso e intelligente che cerca di salvarlo a ogni costo ancora prima che fugga ricercato con la sorella e che comprende per primo che il suo Michele è stato vittima di se stesso per troppo eccesso, una lezione che gli segna la vita ma che gli nasce dall’immagine troppo debole di un padre che è sempre stato lontano da lui, morto poi durante la guerra in Germania. Temi che fino da ragazzi della nostra generazione degli anni Cinquanta, non ci sono estranei, sebbene a distanza di anni ci si accorga di quanto siano diventate solo icone. Il film, ha anche il potere, in un’epoco, quale la nostra, fatta di “nuovi poveri”, di farci capire che cosa poteva essere la vita in molti paesi rurali e non solo. L’esistenza consisteva nella mera sofferenza e accettazione delle cose. Quel freddo, quella fame, quelle condizioni brutali di lavoro, sempre quando questo c’era, la corruzione più bassa di autorità locali e lotte per la supremazia delle terre tra proprietari terrieri e mezzadri, nonchè la “mafia” fatta di potere che forniva lavoro a basso costo i braccianti tolti a loro volta dalle loro terre portate via dal grande padrone, oggi è comunque difficile da immaginare. Nell’epoca dello “spred” e restando al nostro Occidente datto di consumo e di 2progresso”, non c’è più il ricordo di quella miseria, ma c’è un tipo di guerra e di vittimedi un nuovo grenere che solo in apparenza non crea paura, ma è lo stesso in grado di generare terrore, morti e distruzione. Uomini soli non solidali l’uno con l’altro.