E’ GUERRA OGGI COME IERI E’ GUERRA. LA PANDEMIA NON SI ARRESTA. GUERRA TRA GLI STATI. MAURICE SACHS RACCONTA “AI TEMPI DEL BEUF SUR LE TOIT” UNA VITA TRA LE DUE GUERRE

DONNA CON MANI AL VISO BIEN ARTE20190827_183220Oggi è come se fossimo durante la Prima o la Seconda guerra mondiale. Il Corona Virus che ha colpito tutto il pianeta sta oltre che uccidendo ogni giorno miglia di persone ma sta anche distruggendo ogni tipo di economia. Due dati di oggi in Italia 11 mila morti. Nuovi casi di contagio 3500, senza contare gli asintomatici e chi è contagiato e sta per forza in casa perché gli ospedali sono pieni, le sale di rianimazione anche, il materiale sanitario non basta fino dall’inizio di questa pandemia annunciata dalla Cina, tamponi non se ne fanno piu’ da tempo, vaccini ci vogliono due anni…l’economia sta a zero e la stragrande maggioranza del lavoro è ferma. Ridotto anche il settore agroalimentare..bestiame, viticoltura…tutto per decreti; 4 finora. Mille i divieti per uscire di casa per andare da un medico, in farmacia, al supermercato o una minima passeggiata di 200 metri: chi non deambula rischia parecchie patologie.  Scuole, cinema, musei..tutto chiuso. Ora si puo’ andare in auto solo in due. La gente va in depressione anche, i bambini pure, i ragazzi anche loro hanno perso i loro lavori precari e si devono pagare l’affitto e vivere. I genitori non ce la fanno piu’ ad aiutarli a casa anche loro dal lavoro, molti lo hanno perso definitivamente e i negozi, il commercio non si riprenderà. Dobbiamo sfondare il debito..dice Mario Draghi e con tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea obbligare la Germania e l’Olanda e qualche altro stato coglione ad emettere Eurobond o Coronaabon…la capiranno? Tra 5 giorni se non avranno, Italia, Francia Spagna, Lussemburgo, Belgio, Danimarca, Portogallo, Grecia, Slovenia, Spagna, Irlanda ecc. risposta, l’Europa non esisterà iu’. Ripeto, il Mes, il Decreto Salva Stati va fatto nuovo e non con regole che detta la Germania. La Germania ha fatto scoppiare la Prima guerra mondiale, poi la Seconda, Poi un signore con i baffetti ha fatto sterminare migliaia di ebrei- Persino il paziente “0”passato in Italia proveniente dalla Cina era tedesco… Bello un video che gira di Tullio Solenghi, lo consiglio, dice cose vere e divertendo. Ma da vero incazzato. La Germania da quando è nato l’Euro (“Prodi non l’ha fatto a due velocità, quel lecchino”), si è messa a lucrare sulle disgrazie degli Stati membri con tanto di interesse..il rigore dei miei coglioni..cara Merkel. Altro pezzo di genio alla BCE la Lagarde che non tiene memmeno le scarpe Mario Draghi artefice di tanti salvataggi economici in Europa.

Tanti e specie i politici e come risposta agli Stai membri che hanno chiesto gli Eurobon-.Coronabond, un mezzo salvifico per tutti, il presidente della Commissione Europea, Ursula Vonderlain ha detto :”Non se ne parla nemmeno, non è all’ordine del giorno, esci dai programmi…” . Così questa Z….ha liquidato gli stati membri. Prova che l’Unione Europea non esisterà piu’- Il bollettino di guerra delle 18 in Tv tenuto dalla Protezione Civile che fa acqua da tutte le parti, si sono già dimenticati delle preghiere che Papa Francesco ha fatto ieri in Piazza san Pietro a Roma. In Lombardia oggi ancora 560 morti accertati, qualche guarito in piu’ nel Paese. Ma il picco deve ancora venire dicono…

Ma prima di passare a un’altra cosa serie, vi volevo dire che in soli 5 giorno Libero e Il Giornale, grazie ai suoi direttori, Feltri e Sallusti e ai lettori generosi ha raccolto 2 milioni di Euro superando persino il Corriere.Conte ha stanziato per le povere bocche da sfamare, 4 miliardi dati ai Comuni per organizzare mense e poveri e 400 milioni sono stanziati per i buoni pasto o supermercato. A partire da?

All’indomani della Prima guerra mondiale la Francia, uscitane vittoriosa, pensa che toccherà alla Germania sconfitta saldare tutti i debiti. “Paga la Germania” è il refrain alla moda con cui a Parigi e dintorni si celebrano gli anni Venti, che i più vedono come una prosecuzione, tanto ideale quanto economica, di quella Belle Epoque bruscamente interrotta dal colpo di pistola di Sarajevo…Si illudono, naturalmente, ma non lo sanno, e però anche i più avvertiti preferiscono non stare a sottilizzare più di tanto. Troppo grande è stato l’orrore di quel conflitto, pensano, perché qualcuno voglia, o possa, ancora riprovarci e quindi, e forse, quella lì è stata veramente “la guerra” fatta per “mettere fine a tutte le guerre”…

Dato atto del patriottismo di chi l’ha combattuta e di chi c’è morto, dei feriti, dei mutilati, dei decorati in genere, il sentimento che sempre più si comincia a provare, e di cui sempre meno ci si vuole vergognare, è quello che un ragazzo di tredici anni si prova a riassumere già nell’anniversario del primo anno di pace: “Cominciamo ad averne abbastanza. Ormai è finita, che diamine! Scordiamocela”.

Il ragazzo in questione si chiama Maurice Sachs, è di buona famiglia, non ha preoccupazioni economiche, “sono passato alla banca, ho speso tre mensilità in un solo mese”, ha appena cominciato a tenere un diario: “Ho riletto adesso queste pagine. Buon Dio, quanto sono frivolo! Eppure non sono più stupido di altri, più incolto, né incapace; è che non ho ancora voglia di essere serio. L’aria è frizzante come lo champagne”.

Nel 1939, quel diario, più o meno vero, più o meno falso, più o meno riscritto con il senno di poi, diverrà un libro, Au temps du Boeuf sur le toit (Ai tempi del Boeuf sur le toit, traduzione di Federico Zaniboni, Lindau, 249 pagine, 22 euro) e sarà l’unico da lui pubblicato in vita, se si esclude Alias, una sorta di autobiografia in forma di romanzo uscita quattro anni prima e subito caduta nel dimenticatoio. “Mio caro Maurice” gli ha detto allora Jean Cocteau, “nella vita potrai fare tutto quello che vorrai, salvo una cosa: essere scrittore”. Quella frase gli è rimasta nel cuore come una scheggia. La tiene lì perché spera un giorno di gettarla in faccia a chi la pronunciò, ma non si decide mai ad estrarla, perché sa che è vera.

Il fatto è che allo scrivere Sachs preferisce il vivere, ma negli anni Venti della sua adolescenza è la scelta che fanno un po’ tutti: “Ci sono voluti dieci anni per smaltire questo fiume di esseri umani, di felicità e di ottimismo. Per dieci anni i bar, i salotti, i negozi, i teatri, le strade, le finestre, sono stati gremiti ovunque: abbiamo sfilato per dieci anni interi. Nel 1929 tutti sono tornati a casa e si è alzato il sipario su un altro spettacolo: la Crisi, dramma in dieci atti. (E forse uno dei principali difetti del programma è stato quello di cominciare con l’apoteosi)”.

Quando insomma dà alle stampe il suo “diario di un giovane borghese all’epoca della prosperità” Sachs è appena un trentenne, ma “a trent’anni, in un’epoca come la nostra, si è già irresistibilmente vecchi”. La giovinezza passa come un lampo, ma gli anni Venti, dal già citato Cocteau al giovanissimo Radiguet, da Morand a Malraux, da Drieu a Montherlant vedono anche una generazione che avanza passo di carica sgranando capolavori e non facendo prigionieri. Quelli come Sachs sono poco più che dei compagni di strada: frequentano gli stessi luoghi, conoscono le stesse persone, raccontano gli stessi aneddoti. Ciò che gli manca è il genio, il demone della scrittura, il sudore della scrittura, nonché l’alta considerazione di sé stessi e della loro opera: “Non sono in grado di tenere questo diario tutti (corsivo tutti) i giorni, sono troppo occupato. Dio, quanto è impegnato un uomo ozioso!”.

Guardandosi allo specchio, Sachs si accorge che sta perdendo i capelli, sta ingrassando, quello che gli resta in bocca “è un sapore come di cenere, che non è la cenere del passato. E’ qualcosa che sfugge alla nostra comprensione: è la cenere del futuro (corsivo futuro), quella di un incendio non ancora divampato”. Si ritiene un giovane “traviato nel vero senso della parola”, perché parte di una gioventù a cui era stato detto che non esisteva altro “se non la poesia e la rivolta. Rimbaud, gli angeli e i demoni. Le hanno mostrato come appendere un crocefisso ai gabinetti (surrealismo fecit), come fumare l ‘oppio (Cocteau fecit), diventare alcolizzati, scrivere senza dir nulla, fare l’amore con chiunque e trovare il sublime in tutto. I danni causati dal dopoguerra ormai non si contano più”.

Questo miscuglio di disincanto e lucidità, superficialità e amarezza non riesce mai a trovare la forma giusta per raccontarsi veramente. Ai tempi di Le Bouef sur le toit è una cronaca che spesso e volentieri si fa elenco bulimico di nomi di persone, di cose, di fatti, come se di demandasse a una seconda vita, quella di scrittore, il passaggio successivo. Crede sempre Sachs che ci sarà ancora tempo. In fondo, negli anni Venti è stato qualcuno, pur continuando a essere nessuno: discepolo di Cocteau, Maritain come padrino di battesimo quando da ebreo si è fatto cristiano, amico di Max Jacob, uno, appunto, di quelli di Le boeuf sur le toit, ovvero del concentrato dei pittori, dei romanzieri, degli intellettuali dell’epoca. Solo che a partire da Wall Street e poi dal minaccioso risvegliarsi di quella Germania data per sconfitta per sempre, negli anni Trenta la storia ha ripreso a correre e stanno per arrivare i tempi di ferro, quando le nazioni imbracciano le armi e l’unico gioco possibile è il gioco al massacro. Sachs si illuderà anche allora che nulla sarebbe cambiato e tutto solo più eccitante, ma il giovane ozioso e seducente che fu ha lasciato il posto al piccolo trafficante di amicizie e di debiti, inaffidabile e sempre a corto di soldi, una vittima della grande crisi borsistica che non si rassegna alla povertà. La guerra, l’occupazione, il collaborazionismo faranno il resto e Sachs andrà incontro alla sua morte, lavoratore volontario in Germania, scambiandola per la più affascinante delle avventure: confidenze pericolose, mercato nero, amori clandestini, promiscuità. Finirà con un colpo di pistola alla tempia. Cocteau, il maestro da lui in seguito rinnegato, per spiegare l’impunità del suo Dargelos negli Enfants terribles, scrive che la pena di morte non esiste nei licei. Il liceale mai cresciuto Sachs commise l’errore di credergli.

Guerra è la parola che riecheggia in questi giorni insieme alla parola “fame”.


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