IL CANDORE ARCAICO DI HENRY ROUSSEAU NELLE SALE DI PALAZZO DUCALE DI VENEZIA
“Niente mi rende così felice come osservare la natura e dipingere quello che vedo” aveva scritto Rousseau. Un lungo percorso di studi ha messo nella giusta luce storiografica e critica l’opera di Rousseau soprannominato il Doganiere in quanto lavorava ai dazi. La figura di Henri Rousseau è stato il punto di riferimento per i grandi protagonisti delle avanguardie storiche per collezionisti e amanti dell’arte, nonché studiosi, soprattutto per tanti pittori che “precedettero e superarono” le avventure del Cubismo e del Futurismo da Cézanne a Gauguin, da Redon a Seurat, da Moranti a Carrà, da Frida Kahlo a Diego Rivera per non dire di Kandinsky e Picasso. Artisti tutti presenti nella mostra le cui opere dialogano con il protagonista della rassegna “Henry Rousseu. Il candore arcaico”, a cura di Laureces des Cars, Claire Bernardi ed Elisabetta Barisoni allestita negli appartamenti del Doge di Palazzo Ducale di Venezia e che rimarrà aperta fino al 5 luglio, accompagnatada un catalogo e organizzata dal gruppo Sole 24Ore in collaborazione con i Musei Civici di Venezia, il Museo D’Orsay e l’Orangerie di Parigi con il patrocinio dei Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna.
Nella sua breve ma intensa stagione creativa Henry Julien Rousseau tra il 1885 e il 1910 instaurò rapporti d’amicizia con il gruppo di artisti parigini, nonché con intellettuali e mercanti, tra i quali Picasso che gli organizzò una festa in suo onore con lo scopo in apparenza di onorarlo, ma in realtà vollero combinargli uno scherzo che lo inneggiava a “il più grande degli artisti”. Lo scherzo si rovesciò invece in un successo e una grande propaganda per il Doganiere dal carattere schivo e solitario, specie dopo la morte della seconda moglie.
La mostra è divisa in sezioni tematiche ed inizia con il farci ammirare le opere di gioventù del Doganiere come “Ritratto-paesaggio” del 1889-90), considerato dall’artista il primo “ritratto-paesaggio” della storia dell’arte; segue “Il cortile “ del 1896-98 acquistato da Kandinsky ed esposto nella mostra “The Blaue Raiter”, il mitico Movimento del Cavaliere Azzurro di Monaco. Opere di Kandinsky come quelle di altri autori sopra citati accompagnano lo spettatore nell’itinerario e stanno a rappresentare il tipo di rapporto che c’era nei medesimi periodi tra opere artisti diversi. Seguono “La cavalcata della discordia” del 1894 dipinta dal nostro Doganiere con quello sguardo innocente che Ardengo Soffici, suo estimatore definiva “ricco di ingenuità da bambino”. Un candore arcaico che emerge dalle opere di grande formato che hanno come soggetto la natura, giungle popolate da serpenti, scimmie e scimpamzè che mai visitò l’autore, ma che furono il frutto della sua fantasia. Nel manifesto della mostra così sul catalogo appare “L’incantatore di serpenti” del 1907 dove un indigeno suona un flauto tra palme e piante tropicali. Un’altra opera rappresenta “Un cavallo assaltato dal giaguaro” del 1910 ci lascia intendere
fino a che punto si spinse la sua fantasia. Chiudono la mostra non molto bene allestita, poche le informazioni e ridotte a piccoli caratteri alcuni in piccoli pannelli graficamente poco convincenti, “La
guerra. La cavalcata della discordia del 1894, “Me stesso-ritratto/Paesaggio” del 1990 e “Ritratto di Madame M.” dello stesso anno, nonché una sequenza di quadri di H.J.Rousseau e della “sua cerchia” che hanno come soggetto nature morte, vasi di fiori dai colori cangianti. Considerando il fatto che una critica è stata posta all’allestimento di Daniela Ferretti, già direttore del Museo Fortuny , ex assessore alla Cultura del Comune di Venezia, è inconcepibile come la stessa possa anche occuparsi dell’allestimento della mostra realizzata dai Musei Civici di Venezia in collaborazione con l’Oragerie di Parigi e il Gruppo Sole24Ore. Siamo Italia e forse non ci si deve stupire, ma indignare, un poco…