IL POSTINO DI TROISI A SALINA. GRAZIE ANCHE A SIGNUM

Salina. Eolie. La spiaggia è la stessa, quella di Pollara, sulla quale Massimo Troisi nel film “Il postino” da lui diretto e tratto dal libro “Il postino di Neruda” di Antonio Skarmeta dove il noto poeta Pablo Neruda ha soggiornato prima di tornare in Cile, registra con le prime strumentazioni tecniche degli anni Cinquanta, in compagnia di un amico, il rumore delle onde del mare che s’infrangono sulla spiaggia di Pollara, il cinguettio degli uccelli, il grido dei gabbiani, il fischio del vento di levante, mentre narra la bellezza della natura dell’isola che Neruda aveva scelto come rifugio. Oggi la spiaggia non è più accessibile ai bagnanti a causa del rischio della caduta di massi, ma la si può vedere bene dall’alto delle sue rocce e se vuoi sfifare la sorte puoi toccare la sua sabbia vulcanica e camminare preferibilmente lungo la riva: un tuffo in acqua è sempre ben gradito. Un tempo era la spiaggia dei pescatori del villaggio che sopravviveva tra pastorizia e pesca, la seconda isola dell’arcipelago delle Eolie dopo Lipari per numero di abitanti (oggi 3 mila), domanita dal monte Fossa delle Felci con i suoi 962 metri è anche il rilievo più alto di tutto l’arcipelago, supera persino Vulcano e Stromboli. Queste due ultime isole teatro di altri due memorabili film che hanno visto primeggiare due grandi attrici, la Magnani, appena lasciata da Rossellini e la Bergman, nuova conquista del regista romano che fece da regista dopo la seconda guerra mondiale, pellicole che andarono a rilento a causa della mancanza dei finanziamenti. Il film si è ispirato al fatto che Salvator Alliende l’aveva liberato dal confino su l’Isola Negra. Il noto poeta era stato giudicato dal regime di allora un comunista.

Su quest’isola, parlo di Salina, verde o oro, dai fondali azzurri il cui nome deriva da “Didyme” (gemella), con tanto di un laghetto salmastro ubicato nella frazione di Lingua dove si possono gustare le più buone granite delle isole Eoilie, basta chiedere di Aldredo ce è in grado di creare anche altre delizie dai sapori mediterranei. Lingua era anticamene il primo posto abitato dell’isola tra le più antiche dell’arcipelago, tra Panarea e Lipari, da cui la separa un piccolo tratto di mare, il Canale di Salina, lungo 3 kilometri e 800 metri. Un lungo lembo di terra verde con un vulcano dal cratere inattivo, la cui attività vulcanica è cominciata 500 mila anni fa e si è conclusa da 13mila anni.

La casa creata per l’occasione del film di Troisi dove Neruda e la sua più giovane compagna è riconoscibile da un piccolo cartello perché per gli abitanti di Pollara è un fiore all’occhiello, così per il turista o per gli cinefili c’è la possibilità di addentrarsi suoi luoghi del set. Un modo per ricordare l’attore e il regista napoletano purtroppo scomparso più di dieci anni fa ancora giovane. Aveva faticato a lavorare le ultime scene per terminarlo, stava già male, il suo cuore si stava spegnendo. Un film che ha insegnato a tanti cosa vuole dire la povertà, l’amicizia, la curiosità, la voglia di conoscere, di arricchire il proprio animo. Nel racconto il postino che porta le lettere dal Cile e da buona parte del mondo è lo stesso Troisi che con una bicicletta si arrampica su una stradina sterrata e piano piano impara dal grande poeta che cosa è la musica, la cultura, la capacità di sapere narrare le proprie emozioni, la storia, fatta di cose grandi e di cose apparentemente insignificanti. Le musiche che uscivano dall’altoparlante del suo giradischi erano tanghi e musiche latine. Lui proprietario con la moglie di un piccolo bar del paese viene affascinata da questo personaggio che lo tratta da amico e quando questi se ne va il postino gli promette che conserverà tutto di quella casa diventandone il custode in attesa del suo ritorno, ma quando Neruda ritorna il suo postino è morto e la moglie con il bambino gli consegna le chiavi della sua casa e una lettera che il Troisi non aveva fatto in tempo a consegnargli.

Tempi duri, difficili, dove regnava la povertà, dove luce e acqua scarseggiavano come il cibo, un modo per ricordare e conoscere la storia degli abitanti del Sud di queste isole che stanno che stanno tutte sotto il comune di Messina, abbandonate da Dio e dagli uomini, ma dove la fede per la Madonna e in particolare San Giuseppe è forte, sono tante le preghiere e le filastrocche che da secoli si rietono nelle processioni, veglie o inginocchiati davanti a un altare oppure attorno a un camino d’inverno tra membri della famiglia. La storia si tramanda, è un dovere, lo dice anche Parolona Campo, palermitana in “Era la mia casa” (edizioni Bonanno-Acireale-Roma) che visse da ragazzina con la famiglia a Salina perché il padre fu trasferito per lavoro sull’isola vulcanica. Un isola agricola, di pecorai, e di poveri pescatori. A differenza delle altre isole delle Eolie non si è turisticizzata più di tanto, e qui sta la sua fortuna (per ci vive è una sfortuna naturalmente), ma qui si può essere felici sentendo odori, profumi che variano da un punto all’altro dell’isola, guardare il cielo quasi sempre stellato, godere nel vedere la fumata di Stromboli o di Vulcano, camminare tra il silenzio dello schiumeggiare del mare e all’ombra di una magnolia o di un cactus fiorito intonare vecchi stornelli. Per i giovani forse questo naturalmente non basta. Qualcuno accetta o sceglie questa vita, altri partono a studiare al liceo, perché a Salina le scuole di fermano a quelle dell’obbligo, altri ancora in cerca di lavoro. Ma il richiamo di questa terra e di questo mare è forte. Lo hanno capito bene i titolari dell’hotel Signum, il più bello dell’isola creato in pieno rispetto della natura in collina a pochi metri dal mare riunendo e restaurando un nucleo di piccole case di contadini e di pescatori, dove tradizione, stile minimalista, materiali e sharme fanno di questo luogo un paradiso dal quale come Nereda non vorresti mai venir via e se lo fai sai già che prima o poi ritornerai.

L’odore delle case, delle stanze sanno sabbia bruciata, di essenze profumate unito all’odore dell’umido dei muri antichi e dei legni dei mobili tipici delle case di calce bianca, dai tetti piatti, candide o dai colori pastello distinguibili dalle colonne che reggono pergolati fioriti con lunghe sedute piastrellate con ceramiche del luogo. Gli stessi proprietari del Signum hanno prestato i loro mobili che per riprese di Troisi e Michael Redford con Philippe Noiret e Maria Grazia Cucinotta. Il tempo sembra essersi fermato a Salina. 


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