Inaugurata la 69°edizione della mostra del Cinema

Luciana Baldrighi
Venezia
TITOLO
Il fondamentalista riluttante inaugura la 69° edizione del Festival

The Reluctant Fundamentalist, il film della regista indiana Mira Nair (già regista fra gli altri di Salaam Bombay, Matrimonio indiano, La fiera delle vanità), ha inaugurato, fuori concorso, con un buon successo di pubblico e di critica, questa 69° Mostra del Cinema caratterizzata da un minor numero di film in gara (18); un nuovo-vecchio direttore, il torinese Alessandro Barbera che l’aveva già guidata fra il 1998 e il 2002; un maggior rigore. Via, per prima cosa il “maxibuco” dove avrebbe dovuto sorgere il nuovo Palazzo del Cinema, costato uno sproposito e mai andato al di là degli eterni lavori in corso. Al suo posto uno spazio verde di sosta e di ristoro; rinnovate le Sale Volpi e Pasinetti, così come il vecchio e storico Pala-Festival.
Meno gigantismo, vuol dire anche meno Hollywood e più Europa, ma a giudicare dia nomi dei registi e degli attori che arriveranno, il glamour è comunque assicurato: Robert Redford, Claudia Cardinale, Jean Moreau, Spike Lee, Susan Sarandon, Nick Nolte, Winona Ryder fra gli evergreen. Laetitia Casta, Zac Efron, Ben Affleck, Javier Bardem, Noomi Rapace, Emmanuelle Seigner fra i volti più giovani ma già oggetto di divismo.
Anche la giuria è una ragionata miscela di stili e di sensibilità diverse. Presidente è Michael Mann (Insider, Heat, Collateral, L’ultimo dei Mohicani); giurati l’artista serba,Marina Abramovic, la già citata attrice francese Laetitia Casta, la produttrice–regista cinese Peter Ho-Sun Chan, il regista israeliano Ari Folman (Walzer con Bashir) l’italiano Matteo Garrone fresco reduce dal successo di Reality a Cannes lo scorso maggio, la svizzero-francese Ursula Meier, Orso d’Argento quest’anno a Berlino per L’enfant d’en haut, la regista e attrice inglese Samantha Morton, l’argentino Pablo Trapero.
Nella sua conferenza stampa d’apertura, Barbera ha del resto voluto indicare con precisione gli obiettivi che Venezia intende porsi: “Scoprire registi ignorati e cinematografie giovani, proporsi come uno scandaglio lanciato a sondare le profondità di un universo di cui troppo spesso si conosce solo la superficie, dotarsi di un vero e proprio Film Market, indispensabile contraltare e completamento commerciale alla natura prettamente artistica della Mostra“.
Per quanto fuori concorso, Il fondamentalista riluttante rientra in pieno nella tematica che sembra voler essere la chiave di questa nuova edizione, vale a dire le certezze religiose e i dogmi politico-economici. Sono questi infatti i temi dei film in concorso di Marco Bellocchio (La bella addormentata) che prende spunto dalla vicenda drammatica di Eluana Englaro; The Master di Paul Thomas Anderson, incentrato sul controverso mondo di Scientology; Pietà, di Kim Ki Duk, con la sua equiparazione fra religione e sete di denaro; Apres Mai di Olivier Assayas, ovvero la contestazione del maggio francese, la sua voglia di rivoluzione e il successivo ritorno all’ordine. Ma anche At any price di Ramin Bahr e Fill the Void di Rama Bursthein parlano della difficoltà di conciliare le tradizioni del passato on le contraddizioni del presente e, fuori concorso, non va dimenticato che Robert Redford racconterà con The Company you keep, il tormentato mondo della contestazione giovanile americano degli anni Sessanta e Settanta quando dal radicalismo pacifista si passò a una vera e propria sovversione armata contro lo Stato.
Ben girato e ben interpretato (Kiefer Sutherland, Riz Ahmed, Ksate Hudson, Liev Schreiber) , tratto dall’omonimo romanzo di Mohsin Amid, Il fondamentalista riluttante è la storia di un giovane pachistano di buona famiglia, ma decaduta, lanciato alla conquista degli Stati Uniti. La sua brillante carriera come analista finanziario si “scontra” però con l’attentato delle Torri gemelle dell’11 settembre 2001, e da allora il suo tentativo di integrasi va di pari passo con la consapevolezza di una diversità che va affrontata dall’interno dalla propria terra, senza lasciarsi sedurre dal fondamentalismo religioso e da quello economico. “C’è una cosa che credo il film racconti bene” spiega la regista, “ovvero l’estremismo religioso come realtà speculare di quello economico, l’idea che il singolo non esista, ma sia un’astrazione, un numero da poter manipolare e usare. Proprio perché Changez Khan, il mio protagonista, conosce la disumanità di fondo del sistema finanziario statunitense, dove nessun sacrificio può distogliere dal business, è in grado di comprendere l’inumanità che si nasconde dietro i concetti di guerra santa, sterminio dell’infedele, morte sacrificale. Parlano entrambi lo stesso linguaggio”.
Di tutt’altro genere,il secondo film proiettato in apertura, anch’esso fuori concorso: Enzo Avitabile Music Life. Girato dal regista americano Jonathan Demme (Il silenzio degli innocenti, Philadelphia), è un tributo alla vita e all’opera del musicista napoletano Enzo Avitabile. Colto, amante della sperimentazione, Avitabile è seguito dalla macchina da presa in una Napoli calda e colorata, capace di stupire e di commuovere.


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