JEAN PERRE LEAUD E IL CINEMA…..CON LA SCENEGGAITURA DI CYRYL LEUTHY

Tutto inizio’ con Cocteau a Cannes nel 1959 quando il giovane J.P. Lèoud era già in grado di fare parlare di sé  a partire dai Quattrocento  colpi di Trouffeau…Che anni felici e meraviglio…Questo documentario , questa biografia del grande Lèaud  merita di essere visto amato, collezionato.  Questi erano i veroi attori che oggi rimpiangiamo .Il cinema l’ha faytto l Italia e la Francia , gli americani trionfano oggi con film costosi e la maggior parte parlano di politica , di guerre pro loro, di scamdali, ma tanti assomigliano piu’ a grandi fiction che a un film- Ma ci sono e qualc he volta e’ un bene.

Sono passati più di sessant’anni che Jean-Pierre Léaud è nel cinema e insieme è il cinema. Qualche anno fa, con La mort de Louis XIV, portò sullo schermo a Cannes un fisico devastato e insieme, come ci tenne a sottolineare, “regale”, quella certa aura di regalità propria di chi sa, come scrisse Jean Cocteau, che “il cinema è la Morte al lavoro sugli attori”, il loro io caduco che si specchia con l’io eterno di celluloide…

Proprio Cocteau era a Cannes, non più come Presidente di giuria, ma come illustre invitato, in quel 1959 il cui il quattordicenne Jean-Pierre Léaud bucava gli schermi con I quattrocento colpi di François Truffaut, un ragazzino dal nome cinematografico di Antoine Doinel che era un alter ego del regista e in fondo anche di sé stesso: perché poi nella vita Jean-Pierre Léaud non è mai esistito, ma sempre e solo sullo schermo…

Questa è del resto la chiave interpretativa di Le cinéma de Jean-Pierre Léaud, di Cyril Leuthy, presentato ieri nella sezione Classici, con contributi di registi ancora viventi, Assayas, Kaurismaki, Bonello, Balesko, e di registi purtroppo scomparsi, Truffaut in primis, ma anche Godard, Eustache… Di suo Leuthy ci aggiunge una serie di volti nuovi attoriali, chiamati in virtù della loro somiglianza, a recitare ciò che nel corso di tutta una vita lo stesso Léaud disse di sé e su di sé, sulla sua idea di cinema, sui suoi maestri che erano insieme padri putativi, fratelli maggiori, amici…

Il palmarès di Léaud è impressionante, se si guarda soltanto al primo quindicennio della sua attività: la Nouvelle Vague è lui, è lui il cinema francese. Poi inizia una lunga traversata del deserto, il ragazzo che è intanto diventato un uomo, ma che nessuno sullo schermo accetta di veder invecchiare…Ci vorrà il genio di Kaurismaki e del suo Ho affittato un killer (1990), per svelare i lati grotteschi ed insieme drammatici della sua arte. Eppure allora Léaud non ha ancora cinquant’anni…

Come osserva giustamente Leuthy, “più che costruire una carriera, ha costruito un’opera. Il problema che ho cercato di risolvere nel mio film, è come riuscire a definire l’opera di un attore”. Protagonista, come già accennato, di una “filmografia impressionante”, consacrata qualche anno fa a Cannes con la Palma d’oro alla Carriera, Léaud è anche l’attore che ha inventato un nuovo modo di stare davanti alla macchina da presa, dove tutto è vero e tutto è finzione: “Se non c’è la macchina da presa, perdo l’orientamento”. E ancora: “I film sono più armoniosi della vita, non ci sono intoppi, non ci sono rallentamenti. I film vanno avanti come i treni, come i treni nella notte”.


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