LA COMUNISTA’ CHE IL AMAVA IL TANGO
Cristiana Casati Stampa di Soncino….a cosa puo’ riportare nella memoria figure di donna comuniste ma nobili, i cui mariti erano in dissidio con la famiglia che avrebbe voluto organizzare matrimoni . Negli anni Trenta quesste donne fortunate aristocratiche ..passavano queste logiche, letterarie, di mondo, di volontariato in nome di una modo di essere aristocratici con la “d” minuscola tanto da sentirsi citarsi da Paeti, uomini di mondo.
Per gli appassionati della cronaca, più o meno bianca, e quindi di costume e/o pettegolezzi, più o meno nera, e quindi di fatti e fattacci di corna e di sangue, il nome Casati Stampa di Soncino spicca all’inizio e nella seconda metà del Novecento. E’ con Luisa, soprannominata “la divina marchesa”, che se ne celebrano i primi fasti, amata e amante di d’Annunzio che la ribattezzò Koré nel suo romanzo Forse che sì forse che no; famosa per i suoi levrieri, leopardi e corvi rigorosamente bianchi; per le sue case di Venezia e di Parigi; per le sue “mises” aristocratiche quanto audaci; per una vita che aveva come motto “Voglio essere un’opera d’arte vivente”; per gli innumerevoli ritratti, da Boldini a Zuloaga, fino all’iconica fotografia di Man Ray, “alta, austera, vestita di nero, con occhi enormi accentuati dal trucco scuro”, che ne immortalarono la bellezza e l’eccentricità. Dilapidò un patrimonio, morì povera a Londra nel 1957.
Più o meno un decennio dopo, nel 1970, quel nome esploderà come un colpo di pistola in una notte romana. Camillo, il figlio quarantenne che porta lo stesso nome del padre e che questi ha avuto da un’americana dopo essersi separato da Luisa, uccide la moglie e l’amante e poi si toglie la vita, atto finale di una relazione tossica su cui scorreranno i fiumi di inchiostro d’una stampa tanto morbosa quanto moralisticamente compiaciuta nel raccontare vizi e débauches della cosiddetta aristocrazia nera capitolina.
C’è però in quel Novecento un’altra Casati Stampa, Cristina è il suo nome, in grado di far parlare di sé, disinibita quanto la madre, perché figlia appunto della “divina marchesa”, ma in più ideologicamente ribelle, umorale e collerica, pur senza gli impulsi omicidi, quanto il fratellastro. Alla sua morte, nel 1953, il suo secondo marito, Woogan Phillips, butterà nel fiume che costeggia la tenuta di Butlers Farm dove la coppia aveva vissuto, tutto ciò che ne avrebbe potuto ricordare l’esistenza: lettere, foto, documenti…Un peccato, perché specie negli anni Trenta, Cristina Casati Stampa si era andata ritagliando un ruolo non banale nella jeunesse dorée che l’aveva vista nascere e di cui, per scelte politiche, si era poi andata distaccando, anche senza mai recidere definitivamente ogni vincolo.
A riscostruirne la vita, con certosina pazienza di cronista, ci prova ora Massimo Novelli con il suo La comunista che amava il tango (Mursia, 184 pagine, 18 euro) che già nel titolo sintetizza il personaggio. Nata nel 1901, un’infanzia e un’adolescenza passate in collegio, con una madre che in casa, per barare sulla propria età, continuava a vestire la figlia da bambina, a 24 anni Cristina andò in sposa del futuro conte di Huntingdon, Jack Hastings, suo coetaneo, un matrimonio osteggiato dalla famiglia di lui, che spinse la coppia a emigrare in Australia in attesa che si calmassero le acque. Ci restarono un anno, poi, complice un’eredità della nonna paterna di Jack, fecero rotta per la Polinesia francese, dove la giovane Cristina restò incinta. Moorea, questo il nome della bambina, nascerà però a Londra: la “fuga d’amore” era stata in qualche modo perdonata, anche se il matrimonio aveva già fatto in tempo a usurarsi: lei era gelosa e collerica, lui la trovava insopportabile e la tradiva. Tornarono comunque ancora insieme in Polinesia, viaggiarono poi negli Stati Uniti, dove conobbero Frida Kahlo e Diego Rivera, un incontro che fece appassionare il giovane Hastings alla pittura e entrambi al comunismo. A Chicago, stando a un biografo dell’artista messicano, “Cristina e Jack ingaggiarono un professore universitario affinché insegnasse loro il comunismo”…
La nomea della “comunista che amava il tango” nasce allora e stava a indicare quel mix, apprezzato dalla stampa d’ogni epoca, di chi da aristocratico e gaudente si trasformava all’improvviso in difensore dei deboli e contro i “poteri forti”, capitalismo e proprietà terriera nel caso in questione. Qui vale la pena di fare un inciso, che aiuta forse a spiegare perché, nel caso di Cristina Casati Stampa di Soncino, la sua militanza comunista e antifascista, cementata sul campo della guerra civile spagnola, non sia bastata a salvarla dall’oblio.
Va innanzitutto detto che nell’aristocrazia inglese dell’epoca, la scelta comunista e antifascista non era un’eccezione, tantomeno un’anomalia. Da Jessica Mitford a Nancy Cunard, per fare soltanto due nomi dotati tanto di ricchezza quanto di nobiltà, si trattava al contrario di una pratica non inusuale e che si estendeva anche a tutto quel coté snobistico-intellettuale da upper class che da Oxford a Bloomsbury metteva insieme studenti e romanzieri, poeti e intellettuali, con annessi e connessi atti di spionaggio e di tradimento, non solo di classe, abiure e autocensure…Quanto tutto ciò fosse il frutto di un profondo convincimento ideologico, di un semplice fraintendimento di idee, di un sentimento di noia e di rifiuto del proprio ambiente di appartenenza, è difficile dire. E’ certo però che per Cristina Casati Stampa di Soncino, per Jessica Mitford, per Nancy Cunard, per restare ai nomi prima citati, c’era alla spalle un’infanzia infelice, un rapporto conflittuale con il proprio ceto sociale, un senso di ribellione nei confronti di una famiglia da cui non ci si sentiva amati o, peggio ancora, ci si sentiva rifiutati…
Novelli è molto abile nell’andare a spulciare i giornali dell’epoca in cui le gesta della “comunista che amava il tango” vengono riportare e qua e là enfatizzate. Tesoriera a Londra di una libreria intitolata a Marx e controllata dal Partito comunista britannico, arrestata e poi espulsa dal Brasile in quanto “spia di Mosca”, ancora tesoriera, ma questa volta del “soccorso medico inglese al popolo spagnolo” all’inizio della guerra civile e poi addirittura partecipe agli interrogatori dei militari italiani caduti prigionieri delle Brigate internazionali…Tuttavia, per quanto le definizioni si sprechino, “la contessa rossa”, “la bellissima schiva-proiettili” il ruolo di Cristina Casati Stampa non si discosta molto da quello dei tanti “compagni di strada” dell’epoca ; raccolta di fondi, petizioni, cene di solidarietà…Del resto, l’unico suo libro pubblicato, nel 1936, sarà una favola per bambini…
Del primo marito di Cristina esiste una biografia, The Red Earl, Il conte rosso, scritta da Selina Hastings, brillante biografa nonché sua figlia, nata dal secondo matrimonio. Per quanto “rosso” anche lui, l’esperienza spagnola gli fece rivedere i suoi giudizi sull’Urss, ripensamento che non ebbe però Cristina. La Spagna accelerò se possibile la crisi della coppia e proprio in Spagna Cristina trovò il nuovo amore, il già citato Woogan Philipps, nobile anche lui, figlio del barone di Milford, e anche lui comunista.
Novelli si sorprende che, da morta, Cristina non abbia avuto dal Partito comunista britannico nulla più di un frettoloso necrologio, e sì che ne era stata un’iscritta nonché militante e per di più la moglie di ben due “compagni”…E’ probabile che i cattivi rapporti intercorsi con entrambi abbiano contribuito a far mettere la sordina a quella che era stata la comune militanza politica. Più sorprendente, per certi versi, è il silenzio sul suo nome da parte del Partito comunista italiano, che pure ricevette in gestione parte delle terre lombarde, ovvero la “cascina Fornace” di proprietà di Cristina, e i cui esponenti politici, negli anni del secondo dopoguerra e fino alla morte, Cristina incontrò nel cinquecentesco palazzo milanese che porta il nome della sua famiglia…A risarcirla di questa dimenticanza ci ha pensato ora Novelli con questo libro, omaggio affettuoso a una figura eccentrica, ma non insincera.