LA MARCHESA CASATI STAMPA, FORTUNY E D'ANNUNZIO… A VENEZIA UNA BELLA MOSTRA NE RICORDA LA DIVINA MARCHESA CHE VOLEVA ESSERE UN'OPERA D'ARTE

Foto9760“Un’opera d’arte vivente”. Questo cercò di essere  Luisa Casati Stampa, la donna che, a inizio Novecento trasformò se stessa in leggenda, simbolo conturbante e sorprendente di modernità e avanguardia. La mostra di Palazzo Fortuny a lei dedicata ha per titolo La divina marchesa e ben si presta a rievocare la figura e il mito della donna che affascinò d’Annunzio e con le sue follie divenne la musa dei più grandi artisti del tempo, da Boldini a Bakst, da Marinetti a Balla, da Man Ray ad Alberto Martini, da Van Dongen a Romaine Brooks.

Nei tre piani dello scenografico palazzo veneziano, Fabio Benzi e Gioia Mori, i curatori della mostra ideata da Daniela Ferretti, presentano un insieme di oltre cento opere tra dipinti, gioielli, sculture, fotografie e abiti provenienti da collezioni private e da musei internazionali. Attraverso continui rimandi, l’esposizione ricostruisce le relazioni  sociali e artistiche che attraversarono la vita di Luisa Casati Stampa: dalla gabbia dorata dell’alta società all’incontro con “il vate” per eccellenza; dalle stravaganze ai travestimenti, alla pratica dell’occulto, per poi arrivare al periodo futurista, di cui la marchesa sarà al tempo stessa musa, finanziatrice, collezionista. C’è spazio anche per l’ultimo periodo di questa donna eccentrica quanto enigmatica: l’auto-esilio Foto9709londinese del secondo dopoguerra, reclusa in un monolocale povera, vecchia, solitaria ma egualmente indomita, come si accorgerà Cecil Beaton, colpevole di averla fotografata suo malgrado e perciò maledetto a voce e per iscritto….

Nata a Milano il 23 gennaio del 1881, figlia di un grande industriale del cotone, Alberto Amman,  a quindici anni  Luisa si ritrova orfana e in possesso del gigantesco patrimonio paterno. A 19 è già la moglie del marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, a venti è già madre, a 23, durante una di quelle cacce alla volpe che tanto appassionano il marito, ha già per amante Gabriele d’Annunzio, il poeta e il libertino più celebre del suo tempo. Per lei, lui sarà sempre Ariel, lo spirito della Tempesta di Shakespare, per lui lei sarà sempre Coré, la divinità degli Inferi. La trasformazione-rappresentazione ha inizio.

Tagliatisi i capelli e dato loro il colore del rosso fiamma, Luisa ama ora vestirsi di solo bianco o di solo nero: sul suo viso d’avorio, gli occhi sottolineati in nero sono inquadrati da lunghissime ciglia applicate, mentre le pupille appaiono dilatate dall’uso della belladonna. Pratica lo spiritismo, si circonda di artisti, mistici , veggenti.Foto9759

Venezia diventa  la sua città preferita. Affitta Palazzo Venier dei Leoni, passeggia di notte per piazza san Marco,  con solo una cappa di seta a disegni dorati a coprirne la nudità, ai piedi sandali con i talloni fatti di perle, un ghepardo con un collier di diamanti al guinzaglio, un servitore nubiano che la precede con un candeliere d’oro, un pappagallo o una piccola scimmia su una spalla. Pavoni bianchi, boa, un gorilla, uccelli meccanici popolano il giardino del palazzo, i domestici sono dipinti in oro…

Nella città lagunare, i suoi amici si chiamano Giovanni Boldini, il pittore dell’aristocrazia, Serge Diaghilev, l’inventore dei Balletti russi…Alla Biennale d’Arte del 1913, una scultura in cera di Paolo Troubetzkoy la raffigura con al fianco gli amati levrieri, un pastello di Alberto Martini la celebra con il nome di Farfalla, due ritratti di Lolo de Blaas la immortalano con i vestiti disegnati per lei da Léon Bakst e realizzati da Paul Poiret. Il Ballo Longhi da lei dato quello stesso anno fa arrivare a Venezia la nobiltà di tutta Europa. La successiva Festa indo-persiana fa delirare i suoi ammiratori. In seguito, di volta in volta, nei balli parigini degli anni Venti, Luisa sarà Regina della Notte, Cesare Borgia, Cagliostro.

Nell’estate del 1920, Capri diventa un altro set della sua vita inimitabile. Alloggia a villa San Michele e il suo arrivo a Marina Grande con dozzine di  bauli, tra cui la cassa per Anaxagarus, il suo boa constrictor, fa sensazione. Norman Douglas, il barone Fersen, Axel Munte, Fortunato Depero, la vanno a trovare, cocaina, etere e assenzio le fanno compagnia. Ormai ha quarant’anni e nel nudo di Romaine Brooks che all’epoca la ritrae, appare con uno sguardo luciferino, la capigliatura da Medusa, il corpo androgino, fiera creatura della notte e insieme angelo caduto.

Tre anni dopo si stabilisce in Francia. Poco fuori Parigi acquista il Palais Rose che fu l’ultima dimora del dandy Robert de Montesquiou, il barone Charlus della Recherche proustiana. Lo ribattezza Palazzo del Sogno, vi ospita più di 130 fra quadri, disegni, pastelli, sculture, ceramiche fotografie che hanno un unico soggetto: lei stessa. E’ qui che nel 1927 dà la sua ultima festa, il suo canto del cigno: la intitola Serata Magica, e lei si presenta mascherata da Cagliostro, un abito d’oro, d’argento e di brillanti, stivali dai tacchi altissimi, una maschera d’oro a coprirne in parte il volto, una spada di cristallo al fianco. Al suo apparire, lampi e tuoni lo segnalano, ma si tratta di una tempesta vera che provoca il fuggifuggi dal giardino degli inviati vestiti da negromanti e da cleopatre, da marie antoniette, da aristocratici e da sansculottes…

Negli anni Trenta, l’immenso patrimonio che fu il suo non esiste più. Una vendita all’asta disperde la sua collezione, i debiti si accumulano. La sua ultima apparizione è al Bal des tableaux célèbres tenuto dai conti di Beaumont: si presenta vestita da Elisabetta d’Austria, la fiera amazzone imperiale da lei amata fin da ragazzina. Man Ray la fotografa per l’occasione, due giganteschi cavalli bianchi dipinti sullo sfondo, indosso una pelliccia, piume di struzzo come ornamento, stelle di diamanti fra i capelli. Ha cinquantaquattro anni.

Negli anni dell’auto-esilio londinese, cani pechinesi sostituiscono ghepardi e levrieri, amici caritatevoli la assistono nei momenti di bisogno. Un ritratto di Augustus Edwin John affascina oltreoceano Jack Kerouac che nel suo San Francisco Blues gli dedica una poesia. “Marchesa Casati/E’ una bambola vivente/ I suoi occhi sono immensi/ La sua pelle di seta/ Amala/ Amala”. Luisa muore nel 1957, il primo di giugno, e John fa ancora a tempo a ritrarla, lei vestita di nero in posa regale, un gatto anch’esso nero sulle ginocchia entrambi a fissare l’obiettivo con lo sguardo magnetico di chi ha vissuto molte vite.


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