LA RIVOLTA ARABA SCRITTA DA FABRIZIO BAGATTI, FA RIEMERGERE LAWRECE D’ARABIA….E QUEL MONDO ANCORA IN RISOLTA. QUESTA VOLTA CONTRO ISRAELE

Dopo varie edizioni  sul tema della rivolta araba e Lawrence D’Arabia, tra cui quella della Settecolori andata esaurita, forse si trova solo su Amazon  e’ l avolta di uan novità. Un tema scottante che riporta anche ai nostri giorni dopo il mondo arabo è in assetto di guerra con l’Iran in difesa della Palestina dopo il genocidio e l’invasione dello Stato ebraioco…Un problema sul tavolo dell’ONU, dove ancora una volta l’America ha dentro una zampa.

The Arab Revolt, che ora viene pubblicata per la prima volta in Italia (La rivolta araba, traduzione e cura di Fabrizio Bagatti, Mattioli 1885, 132 pagine, 18 euro), è la più antica versione di quello che poi diventerà il capolavoro letterario di T. E. Lawrence, ovvero I sette pilastri della saggezza. Il manoscritto originale, conservato a Austin presso il Ransom Centre dell’Università del Texas, consta di 96 foglietti da taccuino per un totale di otto capitoli, e copre un arco di tempo che va dal 1916 al 1918. Come è noto, dopo una prima edizione privata dei Sette pilastri per i soli sottoscrittori, nel 1926, Lawrence ne pubblicò  l’anno successivo una versione abbreviata, all’incirca 200 pagine in meno, con il titolo The Revolt in the Desert, e solo nel 1935, l’anno della sua morte, I sette pilastri ebbero la loro prima edizione pubblica, per i tipi di Jonathan Cape.

Questo turbinio di versioni e di titoli è in realtà la punta dell’iceberg di quello che fu un lavorio più complesso e tenace, come Fabrizio Bagatti spiega molto bene nella sua introduzione. Per inciso, Bagatti è ormai lo specialista italiano e non solo più accreditato intorno all’opera di Lawrence: è sua l’edizione critica dei Rapporti segreti sulla rivolta araba uscita in anteprima in Italia per Luni, nel 2019, e tradotta in Inghilterra due anni dopo, Lawrence of Arabia’s Secret Dispatches during the Arab Revolt, Pen & Sword).

In sostanza e in origine, ovvero ancora alla vigilia della Prima guerra mondiale, I sette pilastri erano stati pensati come un libro dedicato alle sette grandi capitali del Medio Oriente, Damasco inclusa: doveva essere insomma il libro di uno studioso la cui passione per l‘archeologia forniva utili strumenti di conoscenza sul territorio. Lo scoppio del conflitto spazzò via il progetto, di cui poi rimarranno nei Sette pilastri il titolo, appunto, e qualche sparso accenno. La guerra trasformò Lawrence da archeologo in ufficiale, dapprima nelle retrovie e poi sul campo e in entrambi i casi taccuini privati e rapporti militari ufficiali vennero da lui usati per tenersi al passo con gli avvenimenti.

A guerra finita, una prima loro rielaborazione apparve anonima sul Times e su History Ttimes e poi nel 1919 Lawrence fece la conoscenza a Londra di Frank Nelson Doubleday, un editore americano amico, fra gli altri, di Kipling. Fu proprio quest’ultimo a spiegare a Doubleday chi fosse Lawrence, “uno dei personaggi più interessanti se non il più interessante che sia uscito dalla guerra”, il che trasformò quel primo casuale incontro in qualcosa di editorialmente più interessante.

I due rimasero infatti in contatto, si rividero poco dopo a Parigi, dove c’era la conferenza di Pace in cui si trattava della questione araba, e intanto Lawrence aveva cominciato a mettere faticosamente mano a una prima versione del suo manoscritto. Su sollecitazione proprio di Doubleday, un probabile rifacimento di quegli articoli già pubblicati e rivisti per questa prima versione, gli venne sottoposta per il suo giornale, The World’sWork, ma venne da questi giudicata troppo breve e dallo stesso autore non all’altezza; e infatti Lawrence la riprese indietro e la distrusse. Allo stesso, tempo, la versione originale del manoscritto, contenuta in una borsa da viaggio, venne da Lawrence persa o gli fu rubata, in una stazione londinese, il che non gli impedì però di pubblicare nel 1920, su quotidiani e riviste un testo lungo, The Evolution of a Revolt, riassunto della campagna in Medio Oriente, e alcuni articoli politico-polemici sul futuro degli arabi. Sempre in quel 1920, Lawrence mise mano a La rivolta araba, ovvero il testo di cui qui stiamo parlando, probabile rifacimento parziale di quello andato perduto, nonché a una nuova versione dei Sette pilastri: prima di distruggere anche questa, ne diede alcuni capitoli all’amico Robert Graves, che aveva problemi economici e che li monetizzò con quel Doubleday già incontrato: apparvero così finalmente sul mercato americano, pubblicati a puntate sul the World’s Work. Della Rivolta araba uscì invece stampato un solo capitolo, il quinto, sia pure con il titolo cambiato, “Massacro”  al posto di “Il primo treno”: per pubblicarlo scelse la rivista The Winter Owl, che, come osserva Bagatti, era un po’ la palestra del “modernismo” inglese, ritrovo di scrittori come Hardy, Sassoon, Davies, lo stesso Graves, tutti in rapporto di amicizia con Lawrence.

Se a questo punto il lettore non si è stancato, gli suggeriamo ancora un po’ di pazienza. Lawrence rimette infatti le mani sui Sette pilastri e ne fa una nuova versione, che esce nel 1922, in otto copie, la cosiddetta Oxford Edition. Quattro anni dopo la riduce di 50mila parole e ne fa una nuova edizione di 211 copie illustrate e numerate per i sottoscrittori, quella da noi citata all’inizio.  Gli costa però di stampa talmente tanto che mette mano a un nuovo testo, anche questo già ricordato all’inizio, The Revolt in the Desert, La rivolta nel deserto, che esce prima a puntate sul Daily Telegraph e poi in volume da Cape per l’Inghilterra e ancora da Doubleday per gli Stati Uniti: venderà in pochi mesi più di 50mila copie e verrà tradotto in diciassette Paesi.

Ora, quello che è interessante è che tutte queste versioni sono di per sé autonome, ovvero hanno una loro originalità. Non si tratta di puri e semplici taglia e cuci da un testo all’altro, ma, come spiega Bagatti, “la scrittura cambia di continuo, a volte per sostituzioni di parole o modifiche di nomi propri, a volte per la riscrittura di interi paragrafi o di interi capitoli”. Ciò che può passare da un testo all’altro risulta comunque perfettamente omogeneo e nell’insieme siamo di fronte ai cambi e agli interventi di un romanziere, non di uno storico, funzionali al racconto, non alla verità. Per indicarne appena uno, il bambino di La rivolta araba trovato morente nel villaggio di Tafas, diventa una bambina in La rivolta nel deserto e poi nei Sette pilastri…Bagatti giustamente parla di un’”epica dell’autobiografia”, ovvero di un incessante lavoro di scrittura e di riscrittura che già nelle pagine di La rivolta araba trovano un loro senso compiuto: “I morti erano meravigliosamente belli. La notte stava passando dolcemente e li stava trasformando tutti in nuovo avorio (…) Intorno a loro si levava l’assenzio scuro, ora pesante di rugiada, in cui le estremità dei raggi di luna scintillavano come spruzzi di mare”.  Sotto questo aspetto ha perfettamente ragione un critico come Edward Said quando sottolinea come l’opera di T.E. Lawrence sia soprattutto un testo poetico letterario, più che un documento storico-militare, con Omero, Virgilio, Milton come suoi numi tutelari.


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