LE DONNE CHE AHNNO FATTO LA STORIA: LA RUSSA ALESSANDRA KOLLONTAJ

Nel 1872, ovvero centocinquanta anni fa, San Pietroburgo registrò la nascita di Aleksandra Kollontaj, figura di rilievo fra i rivoluzionari che poi diedero vita alla Rivoluzione d’ottobre e alla presa del potere dei comunisti in Russia, ma soprattutto protagonista di tutto ciò che in seguito sarebbe andato sotto il nome di femminismo. E’ dunque il suo un anniversario che permette di ripercorrere il lungo e faticoso cammino dell’emancipazione della donna, fra fine Ottocento e poi per una buona metà del Novecento, e l’occasione per fare il punto su di una figura di eccezione.

I dati biografici, innanzitutto. Aleksandra era di ottima famiglia, padre facente parte dell’aristocrazia militare e terriera della Russia zarista, madre finlandese e di estrazione borghese sposata dopo che l’alto ufficiale era rimasto vedovo della prima moglie. Come accadeva nelle famiglie nobili dell’epoca, Aleksandra fu educata in casa, precettori e insegnanti privati, in vista di quello che era poi lo sbocco naturale delle ragazze dell’epoca: il matrimonio, possibilmente con un buon partito. Era stata così per la sorella maggiore, andata appena diciannovenne in moglie a un maturo sessantenne. Quando fu il suo turno, Aleksandra scombinò però i piani paterni: non solo scelse per marito un giovane cugino, ingegnere di scarsa fortuna, ma mise in chiaro, sia con il padre che con lo sposo, che sarebbe andata a studiare economia politica a Zurigo. Questa scelta, non solo provocò la fine in tempi rapidi, appena tre anni, e nonostante ci fosse un figlio di mezzo, del matrimonio, ma anche la rottura con i genitori. La ragazza conservò comunque per sempre il nome del marito, appunto Kollontaj: “Pur amandolo e avendo continuato ad amarlo, sentivo che l’esistenza felice di casalinga e moglie era una gabbia. Un figlio non avrebbe reso indissolubili i legami del matrimonio. Le mie attenzioni erano sempre più rivolte al movimento rivoluzionario degli operai russi”.

Il 1905 è un anno cardine nella storia della Kollontaj, entrata intanto nelle fila del Partito socialdemocratico russo. E’ l’anno della cosiddetta “domenica di sangue”, quanto i manifestanti in marcia verso il Palazzo d’inverno, sede dell’autocrazia russa, chiedendo riforme politiche e sociali, vengono falciati dal fuoco delle guardie imperiali. Lei è fra quei manifestanti e riporterà di quel giorno un ricordo indelebile. Due anni dopo, fonda il primo circolo delle donne operaie in Russia e scrive Le basi sociali della questione femminile, dove si affrontano temi come la protezione delle donne in gravidanza, la loro indipendenza economica, i loro diritti civili. Ancora un anno, e Aleksandra è a tutti gli effetti un esule politico, per colpa di un pamphlet in cui ha auspicato la rivoluzione in Finlandia. Non tornerà in patria che nel 1917, quando la Russia si accinge a cambiare sanguinosamente volto.

Durante questo lungo periodo, gira per l’Europa tenendo conferenze, partecipando a incontri e militando in movimenti progressisti. E’ a Londra, a fianco delle suffragette, conosce Lenin a Parigi, è attiva in Italia e in Germania. Qui viene arrestata ed espulsa: va in Svezia e succede la stessa cosa. Alla fine troverà rifugio in Norvegia, dove rimarrà appunto sino al 1917. Dimenticavamo. Aleksandra padroneggia sette lingue, è di bell’ aspetto, non disdegna la compagnia di uomini più giovani di lei, in linea non tanto con un’idea di libertinismo, quanto di libertà e parità sessuale fra uomo e donna.

Quando Lenin prende il potere, la Kollontaj è subito al suo fianco: viene nominata Commissario del popolo per gli Affari sociali, in pratica ministro, la prima donna ministro della storia: la chiamano “la valkiria”, fa costruire asili di Stato, centri d’assistenza gratuiti per madri e neonati, fa legalizzare l’aborto e rendere più semplice il divorzio.

Si è intanto unita al capo dei marinai bolscevichi della Flotta del Baltico, Pavel Dybengo, che ha sedici anni meno di lei: lo sposerà con il solo rito civile, anch’esso una novità per la Russia.

Gli anni Venti la vedono fortunosamente sfuggire al nuovo corso che la politica comunista sta prendendo dopo la morte di Lenin e l’arrivo al potere di Stalin, ma che già si poteva intravedere con la Nep, la nuova politica economica, e con il pugno di ferro usato già da Lenin per eliminare ogni ostacolo alla sua presa del potere. Mandata in missione diplomatica all’estero, Messico, Norvegia, Svezia, resta estranea a ogni lotta di potere, alle purghe e ai processi staliniani, nonché al giro di vite che il regime opera nei confronti della stessa infanzia russa: per risolvere ogni problema di delinquenza minorile, orfani, randagismo eccetera, il codice sovietico abbassa infatti a dodici anni la maggior età e grazie a questo escamotage equipara davanti alla legge, e alla pena di morte, ragazzini e adulti…

E’ di quegli anni il saggio Largo all’eros alato, dove difende sì l’amore libero, ma in una dimensione spirituale che lo rende lontano sia dalla procreazione come necessità sociale, sia dal sesso come puro piacere.

Nominata per il Nobel per la Pace nel 1946 e nel 1947, Aleksandra morirà l’otto marzo del 1952, trent’anni dopo che, per volontà di Lenin, quel giorno era stato dichiarato Festa della Donna nazionale. Il suo resta un messaggio di fiducia e di speranza: “Abbiamo creduto nei nostri obiettivi e li abbiamo perseguiti. Non si deve scrivere solo per sé stessi, ma per quelle donne lontane e sconosciute che verranno dopo di noi”.

 

 


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Continuando la navigazione su questo blog, accetti l'utilizzo dei cookie. Maggiori informazioni

Questo blog utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo blog senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" si permette il loro utilizzo.
Per ulteriori informazioni consulta la cookie policy

Chiudi

Privacy Policy
Cookie Policy