NELLA TRADIZIONE DEL POPOLO ABORIGENO kAIADIT OGNUNO NASCE DAL SUO ANIMALE..QUI IL TOTEM
Nella tradizione del popolo aborigeno Kaiadilt il nome di ogni persona è composto dal luogo in cui nasce e dal suo animale totem, per questo Sally si chiamava Mirdidingkingathi Juwarnda Sally Gabori, perché era nata a Mirdidingki, piccola insenatura a sud dell’isola di Bentinck, al largo della costa settentrionale dell’Australia, e juwarnda perché il suo animale totem era il delfino. Sally Gabori (1924 – 2015) faceva parte degli ultimi aborigeni dell’Australia costiera che vivevano tra le isole Bentinck e Sweers, un centinaio di persone che, nonostante le insistenze dei missionari presbiteriani, restarono nella loro terra fino al 1948, quando una serie di disastri naturali li costrinse a un esilio forzato sull’isola di Mornington. Pensavano, come faceva anche Sally, che sarebbero rimasti lì solo qualche mese, e invece ci restarono per decenni: i bambini furono separati dai genitori e gli fu proibito di parlare nella loro lingua, provocando una dolorosa frattura culturale. Ma nel 2005 Sally, ormai ottantenne che vive in una casa di riposo a Mornigton, entra nel Centro d’Arte e d’Artigianato di Gununa, prende per la prima volta in mano un pennello e dipinge: opere astratte, coloratissime, a volte immense, che portano i nomi di luoghi vissuti, perduti, desiderati. Sei mesi dopo si tiene a Brisbane la sua prima mostra e oggi è considerata una delle principali artiste contemporanee australiane. I suoi dipinti monumentali dai colori accesi, oltre 2000, prodotti come un atto necessario in circa nove anni di intensa attività, sono mappe della memoria in cui rivive la sua isola natale, le storie della sua famiglia e del suo popolo, nel tentativo di ricomporre un racconto interrotto, forse troppo difficile a parole, e un senso di appartenenza che nemmeno un esilio di quarant’anni ha potuto cancellare. Del resto, nessuno può contenere l’energia di una giovane artista!
In questa centocinquantunesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, nella parte dedicata ai RACCONTI trovate un testo di Francesca Amè, contributor di Vanity Fair e Il Giornale, sulla mostra Lucio Fontana. L’origine du monde in corso al Museo Novecento di Firenze; un estratto del saggio della curatrice Ilaria Bernardi dal catalogo della mostra Fausto Melotti. La ceramica, in corso alla Fondazione Ragghianti di Lucca; e un estratto dal testo critico di Riccardo Caldura, Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia e curatore sulla mostra Uno spazio ritrovato. Opere storiche e contemporanee nella Nuova Sant’Agnese, che inaugura lo spazio della ex Chiesa di Sant’Agnese di Padova nuova sede della Fondazione Alberto Peruzzo. Nella sezione dedicata ai VIDEO trovate un teaser per l’edizione 2023 di miart – fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea organizzata da Fiera Milano, e un video dedicato alla mostra Gesti Universali di Giuseppe Penone alla Galleria Borghese di Roma. Tra gli EXTRA segnaliamo la mostra Shelter Island di Deborah Tarr alla galleria Cadogan di Milano; Personal Protective Demon, la mostra di Candice Lin, vincitrice della VI edizione del Premio Arnaldo Pomodoro per la Scultura, alla GAM di Milano; e The Vacuum Decay, la mostra di Marco Pietracupa da FUTURDOME a Milano. Buona lettura e buona Pasqua! Lo staff di Lara Facco P&C #TeamLara Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com TELESCOPE. Racconti da lontano Ideato e diretto da Lara Facco Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana Ricerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Carlotta Verrone, con la collaborazione di Margherita Animelli, Nicolò Fiammetti, Andrea Gardenghi, Anna Pascale, Silvia Pastoricchio, Alessandro Ulleri, Margherita Villani e Marta Zanichelli. domenica 9 aprile 2023 RACCONTI Cosmogonie sottopelle, di Francesca Amé È un Lucio Fontana diverso e quasi spregiudicato quello che vediamo esposto al primo piano del Museo Novecento, alle ex Leopoldine di Firenze, dove il più concettuale (e apparentemente cerebrale) degli artisti italiani del secolo scorso viene svelato nella sua profonda carnalità. Del resto – chi lo ha conosciuto ha sempre confermato – Lucio Fontana (1899-1968) è stato un bon vivant, amante (riamatissimo) dell’universo femminile. Azzeccata quindi l’idea di Sergio Risaliti, direttore del museo fiorentino, di indagare l’erotismo che è alla base di una vasta produzione dell’artista dove certe cosmogonie paiono metafora di altre forze generative, squisitamente sessuali e di certo necessarie per il concretizzarsi della vita su questa terra (prima che Altrove). Di Lucio Fontana. L’origine du monde (visitabile fino al 13 settembre) colpiscono il titolo, che rimanda al celebre e ancora scandaloso (Instagram lo censura!) dipinto di Gustave Courbet, e l’efficace allestimento della mostra capace (finalmente: non era facile dire qualcosa di non scontato su Fontana) di gettare nuova luce sui noti “tagli” e “buchi”. Grazie alla collaborazione con la Fondazione Lucio Fontana e ai prestiti da diverse collezioni private, incontriamo Ambienti Spaziali, Concetti Spaziali e Nature e molti disegni preparatori degli anni Quaranta e Cinquanta in cui il demiurgo Fontana ragiona sul tema del cerchio, della rotazione, del taglio che rimanda a un passaggio verso un’altra dimensione. Li osserviamo al primo piano e poi, una volta saliti dal secondo, l’epifania che dà il senso della mostra: quando Fontana arriverà ad abbattere la seconda dimensione, non lo farà solo grazie alla sua forza mascolina, a quell’incedere disegno dopo disegno, tela dopo tela, sulle stesse forme cosmogoniche. Le intuizioni dei tagli e dei buchi non sono nemmeno la manifestazione di un concetto puramente astratto perché in quegli stessi anni – con risultati meno noti e ora finalmente esposti in una mostra – Lucio Fontana dava libero sfogo alla sua fantasia sulle forme femminili realizzando una serie di disegni (erotici?) che seducono ancora moltissimo. Dal corpo delle donne, dall’energia della riproduzione, da quelle linee sinuose e vorticose si sprigiona un’energia tellurica che rimanda alle opere più mature del maestro, quasi che le dinamiche del cosmos e dell’umano non siano poi così dissimili. Osserviamo questi profili di donna e vi leggiamo dentro i tagli, i buchi, i vortici, persino le assenze delle opere più classiche. Il cerchio pare chiudersi: il Fontana concettuale e meticoloso, il demiurgo-tutto-testa è in realtà un artista anche istintivo, carnale, “femminile”. Ecco perché le sue cosmogonie ci restano sottopelle, capaci come sono di aprirci a universi lontani e a microcosmi che teniamo, nascosti nascosti, dentro di noi. Crediti: Lucio Fontana. L’origine du monde, installation views della mostra, Museo di Palazzo Vecchio, Firenze. Ph. credits Serge Domingie. Un viaggio nella “galassia” in ceramica di Melotti, di Ilaria Bernardi* […] “Non sapevo niente di ceramica”, egli ricorderà: “credo di averci pensato di notte. Hanno scritto che conoscevo chissà quali astrusi segreti invece io non ho mai letto niente a proposito perché non volevo sapere niente” [1]. La tecnica della ceramica gli pone una serie di questioni, prima tra tutte il doversi rapportare con la materia che invece Melotti aveva rinnegato nelle sculture astratte degli anni Trenta e rinnegherà poi in quelle con filamenti leggeri prodotte a partire dagli anni Sessanta. La ceramica è sempre connaturata con la materia e, soprattutto, con la sua imprevedibilità: la massa e il volume dell’elaborato, infatti, si contraggono per effetto dell’eliminazione dell’acqua; tanto maggiore è il ritiro, tanto minore sarà la porosità del manufatto. La ceramica, quindi, costringe Melotti a fare i conti con la consapevolezza del limite che la sua idea progettuale troverà ogni volta che si troverà a contatto con le forze del processo e della materia ceramica. Melotti approda alla ceramica dopo una formazione molteplice: trasferitosi a Firenze nel 1915, studia presso il Reale Istituto Tecnico “Galileo Galilei”, e parallelamente, pianoforte, armonia e organo, per poi iscriversi nel 1918, alla facoltà di fisica e matematica dell’università di Pisa, l’anno dopo alla Scuola Preparatoria Ingegneri presso il Reale Istituto Tecnico Superiore di Milano, nel 1920 alla Scuola di applicazione ingegneri industriali di quella città e nel 1924 si laurea in ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Milano. È probabilmente dalla sua formazione scientifica che egli mutua il rigore, il concetto di serie, la conoscenza della chimica e delle leggi dell’equilibrio e della statica, mentre è dalla musica che fa propri i concetti di armonia e di contrappunto. È invece la sua iniziale esperienza con Depero e con il Futurismo che verosimilmente gli insegna come l’arte debba coinvolgere tutte le discipline, anche quelle comunemente chiamate “arte applicata”. Ulteriori suoi punti di riferimento importanti sono Adolfo Wildt e Lucio Fontana, conosciuti all’Accademia di Brera: se da Wildt Melotti mutua l’abilità nello svuotare la materia liberandola dal peso, da Fontana impara a far vibrare la materia stessa, a darle vita. *estratto dal testo nel catalogo della mostra Fausto Melotti. La Ceramica a cura di Ilaria Bernandi in corso alla Fondazione Ragghianti di Lucca fino al 25 giugno. [1] F. Melotti, in A. Mulas, Tre ore con Fausto Melotti, All’insegna del Pesce d’Oro, Milano 1992, p. 46. Crediti: Installation view della mostra Fausto Melotti. La ceramica, Fondazione Ragghianti, 2023. Ph. Beatrice Speranza Uno spazio ritrovato, di Riccardo Caldura* L’apertura di un nuovo spazio per le arti contemporanee, in una città densa di storia quale è Padova, è il compimento di un lungo percorso, segnato dalla responsabilità e dalla consapevolezza. Responsabilità per aver assunto come condizione preliminare alla proposta di riutilizzo il recupero di uno spazio ecclesiastico quale è stato la chiesa di Sant’Agnese, un recupero attento grazie al quale, pur partendo da condizioni strutturali che avevano profondamente modificato la destinazione d’uso di una parte dell’immobile una volta venuta completamente meno ogni sua funzione religiosa, è stato possibile ritrovare e rispettare le labili tracce originarie di un passato non mondano: i resti di affreschi, il campanile, nonché testimonianze di sedimentazioni e frammenti romani e medievali che costituiscono la parte ipogea, e visitabile, dell’ambiente riaperto al pubblico. Riprendendo un’efficace metafora di Kounellis riferita alla sua concezione artistica: “credo che la mia più grande ambizione (per usare un paradosso) sia di diventare un ago per cucire tutto insieme”. Il punto della mediazione, il concretizzarsi nello spazio, è dato, in questo caso, da un’opera dell’artista di origini greche ma romano di adozione: Senza titolo (1996). Collocata in asse rispetto all’ingresso costituisce il punto focale, immediatamente percepibile dallo spettatore entrando. Ed è anche l’elemento che fa da snodo fra i due ambienti principali dello spazio e fra il diverso declinarsi delle loro vocazioni future. Il posizionamento dell’opera costituisce così punto di attrazione e soglia per l’accesso ai vani oltre l’ampio volume della ex-chiesa. Un’opera costituita da quattro elementi: una trave in legno di quasi 4 metri, un sacco di iuta, pieno di farina, con un lungo coltello infisso, un elemento a terra. L’opera è sospesa, enfatizzando così la monumentalità dell’insieme. Anche grazie alla straordinaria interazione con la luce esterna che scende verticalmente sull’opera, attraverso la copertura in vetro e acciaio, ricavata da una porzione della sovrastante terrazza, copertura che costituisce uno degli elementi qualificanti il recupero architettonico. La condizione di sospensione nonché la disposizione nello spazio della navata richiama quella della Croce, ma forse ancor di più gli elementi iconografici di un martirio, concetto certo non estraneo all’opera di Kounellis. È la peculiare tensione presente lungo tutta la produzione dell’artista, generata dal contrasto fra la rigidità e la durezza di certi elementi strutturali e la presenza di materiali che sembrano dinamicamente smentire quella medesima rigidità. *estratto dal testo critico per la mostra Uno spazio ritrovato. Opere storiche e contemporanee nella Nuova Sant’Agnese a cura di Riccardo Caldura, scelta per inaugurare gli spazi della ex Chiesa di Sant’Agnese di Padova dal 31 marzo 2023 nuova sede della Fondazione Alberto Peruzzo e spazio culturale cittadino. Crediti: Ritratto di Alberto Peruzzo e installation view della Nuova Chiesa di Sant’Agnese VIDEO Crescendo Camminano, cantano, fischiano, urlano, si mettono in mostra. La parata degli undici personaggi femminili della campagna di miart 2023 – qui in un breve teaser – gridano la loro visibilità al pubblico circostante in un progressivo… crescendo. La ventisettesima edizione della fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea di Milano, organizzata da Fiera Milano e diretta da Nicola Ricciardi, è costruita proprio attorno a questa parola. Aumentano le gallerie partecipanti (169 da 27 Paesi), si incrementa del 40% la compagine internazionale degli espositori, raddoppiano premi e acquisizioni e cresce il rapporto e con la città, le sue istituzioni e i suoi cittadini con una nuova edizione della Milano Art Week e inedite collaborazioni con Triennale Milano e Fondazione Nicola Trussardi. I biglietti per la manifestazione sono acquistabili online. miart 2023 vi aspetta dal 14 al 16 aprile 2023 presso al Padiglione 3 dell’Allianz MiCo a Milano. Crediti immagini e video: miart 2023, crescendo. Creative Direction: Cabinet Milano / Art Direction: Rossana Passalacqua, Francesco Valtolina / Team: Veronica Alba, Nicola Narbone, Benedetta Stefani / Photography and video: Chaumont-Zaerpour / Director of Photography (only video): Jacques Baguenier / Sound (only video): Max Wuchner / Editing (only video): Lucia Martinez / Post production (only Photography): Stefano Maccotta / Models: Allegra Cavassoni, Appoline Diane Baillet, Attandi Trawalley, Helena Hiegemann, Lori Bourrec, Zigen-Shor, Maia Hawad and Rocio Ortiz / Special thanks: Fabio Maragno, Anna Carniel L’immutata vitalità della scultura Attraversano il Salone di Mariano Rossi, la Sala di Apollo e Dafne, la Sala degli Imperatori e quella di Enea e Anchise per espandersi nel Giardino dell’Uccelliera ed eccezionalmente nel Giardino della Meridiana: sono le trenta opere della mostra Gesti Universali di Giuseppe Penone, a cura di Francesco Stocchi, che fino al 28 maggio compongono uno splendido dialogo con la storia e i capolavori custoditi dalla Galleria Borghese di Roma. La mostra parte dalla ricerca di qualcosa che non è presente negli spazi della Galleria, offrendo una nuova lettura di quel rapporto tra paesaggio e scultura che la statuaria antica racconta secondo canoni classici. Nell’assenza di mitologia dei lavori di Penone, la narrazione sposta il suo asse, e il rapporto tra tempo naturale e passato storico dà vita a un nuovo presente. Crediti immagine: Giuseppe Penone. Gesti universali, Installation view @ Giardino della meridiana – Galleria Borghese, Roma. Ph. S. Pellion © Galleria Borghese EXTRA Il porto sicuro di Cadogan Gallery Dall’11 aprile al 12 maggio 2023 Cadogan Gallery presenta Shelter Island, personale della pittrice inglese Deborah Tarr. Al centro della mostra una ventina di tele astratte che l’artista ha dipinto appositamente, in cui reale e immaginario si fondono a creare una realtà nuova e inesplorata. In un equilibrio perfetto tra figurazione e astrazione, Tarr ci porta in un viaggio alla riscoperta della natura: un viaggio profondamente personale, nel quale a fare da bussola sono le nostre emozioni. Caratterizzate da una forte matericità, le opere di Tarr sono studiate fin nei minimi dettagli, dalle pennellate alle cornici, creando contrasti e giustapposizioni tra antico e moderno, tra organico e artificiale. Crediti: Deborah Tarr, Shelter Island, 2023, oil on canvas, 98cm x 81.5cm (39″ x 32″), Photo Credit Todd White Art Photography, Courtesy Cadogan Gallery L’installazione della vincitrice Dal 14 aprile negli spazi della GAM – Galleria d’Arte Moderna di Milano, Candice Lin (Concord, MA, 1979), vincitrice della VI edizione del Premio Arnaldo Pomodoro per la Scultura, è la protagonista di Personal Protective Demon, a cura di Federico Giani. L’artista presenta una nuova installazione, pensata per lo spazio dello scalone di Ignazio Gardella, monumentale trait d’union tra primo e secondo piano della Galleria, in dialogo con le antichità e gli oggetti di provenienza asiatica della collezione permanente. Nel suo lavoro l’artista è solita studiare e ispirarsi a realtà marginali o dimenticate, riflettendo su oggetti e materiali ricchi di storie e di connotazioni socioculturali, che l’osservatore ritrova poeticamente trasfigurate nelle sue sculture. L’autodistruzione dell’universo Dal 12 aprile negli spazi milanesi di FuturDome apre la mostra personale The Vacuum Decay di Marco Pietracupa, a cura di Atto Belloli Ardessi. Artista e fotografo di moda, Pietracupa (Bressanone, 1967) è attivo dagli anni Novanta fra Milano, Parigi e Londra. In questa mostra, il cui titolo fa riferimento al “decadimento del falso vuoto”, ipotetica condizione astrofisica in cui si attua l’autodistruzione dell’universo, propone una serie di immagini realizzate durante il primo lockdown. Ritratti alla sua famiglia, i cui corpi senza volto, fotografati davanti a un green screen cinematografico, restano in attesa dell’evento ultimo, decadendo come massa generativa del vuoto che li annullerà. Crediti: Marco Pietracupa, Untitled, 2020 Courtesy FuturDome Sei un giornalista, un critico, un curatore? Vuoi contribuire con un tuo scritto a una delle prossime edizioni di TELESCOPE? Scrivici su telescope@larafacco.com Se vuoi ricevere TELESCOPE anche tu, scrivi a telescope@larafacco.com L’archivio completo di TELESCOPE è disponibile sul sito www.larafacco.com Via G. Aurispa 7 · 20122 Milano +39.02.36 565 133 press@larafacco.com www.larafacco.com
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