NETFLIX, OKJA, BONG JOON HO. POVERA TILDA SWINTON NEI PANNI DI LUCY…
Un tempo alcuni problemi non esistevano per fortuna anche se il cinema ha fatto passi da gigante e la sua divulgazione è ovunque. Tutti oggi possono vedere film: dalle sale cinematografiche, in tv, via internet o su un semplice telefonino ma anche in dvd o videocassetta. Non se lo ponevano belle attrici come Angie Everhart, Kristin Scott-Thomas, Raquel Welch, Jeanne Moreau, Romy Schneider e nemmeno in Michel Caine, Peter Fonda, Dennis Hopper o Jack Nicholson, Bernadette Lafont e Orson Welles. Con l’avanzare della tecnologia (io sono di quelle che pensano che progresso uguale regresso non sempre naturalmente ma spesso si).
Affrontiamo da vivino il problema Netflix che tanti non sanno cosa sia. Ufficialmente si è trattato di un problema tecnico, ma non è necessaria l’intelligenza di Einstein, o l’aver fatto il militare a Cuneo con Totò, per capire che a bloccare la proiezione, per una decina di minuti, di Okja, di Bong Joon Ho, ieri in concorso, è stato l’accanirsi di fischi fin dalla uscita del nome Netflix sullo schermo. Da vent’anni a questa parte, memoria personale, non era mai accaduta una contestazione preventiva al Festival, e nei settant’anni complessivi della sua storia c’è chi si è scazzottato, chi si è attaccato ai tendoni che aprono e chiudono il sipario del Grand Théatre Lumière, chi dal palcoscenico ha mandato la platea a farsi fottere, e viceversa, ma nessuno ha mai contestato a prescindere…Va anche detto che l’eccesso di zelo provoca spesso reazioni contrarie alle motivazioni che ne possono essere alla base: Okja è un film mediocre, effetti speciali applicati alla creazione di un super-maiale grazie al quale raccontare una favola per bambini, con la multinazionale cattiva e l’intrepida piccola amica degli animali decisa a salvare il suo gigantesco compagno di giochi. Adesso, Okja rischia di divenire un simbolo della libertà di espressione e di distribuzione.
Il pasticcio in cui si è infilato mani e piedi il Festival di Cannes dovrebbe far riflettere, a meno che non si tratti anche qui di una strategia di marketing o di qualche do ut des di natura economica. C’è un gigante dello streaming, 100 milioni di abbonati da un lato, e una mostra-mercato cinematografica senza rivali nel suo settore dall’altro. Il primo produce una pellicola che non arriverà mai nei cinema e sarà vista solo da chi economicamente fa parte della sua rete; la seconda seleziona e presenta opere per il classico pubblico delle sale. C’è insomma una contraddizione in termini, sottolineata dal presidente della giuria, Pedro Almodòvar, già nella conferenza stampa d’apertura. Uno dei giurati, Will Smith, ha tenuto a dissociarsi, ma essendo il prossimo anno sotto contratto Netflix, si capisce il perché.
I bene informati dicono che Netflix abbia carpito la buona fede di Thierry Fremaux, il “delegato alla selezione”, da un decennio uomo-macchina di Cannes. Gli avrebbe fatto credere in una distribuzione diversa, non legata alla sola piattaforma digitale. Altri ben informati ritengono che Fremaux, non avendo quest’anno lo star system hollywoodiano, fosse in cerca della polemica-scandalo con cui sostituire l’assenza di glamour. Per completezza d’informazione va aggiunto che in Francia c’è una legge che tutela la cinematografia nazionale in nome della “eccezione culturale” e in essa la distribuzione sul territorio ha regola precise.
Il bello èo. C’è un regista molto amato dai cinefili, Bong Joon Ho, con un universo filmico dark, vendette sadiche, sventramenti e delitti, che si dà alla fiaba in salsa ecologica. E’ coreano, ma si reinventa dysneiano. Non contento, racconta di un super-porco geneticamente modificato, non puzza nemmeno, e che nel cinismo della multinazionale di cui è un prodotto, dovrebbe risolvere l’eccesso dei rifiuti alimentari: ha le dimensioni di un elefante, un solo esemplare della specie sostituisce cento maiali normali. Se già vi siete annoiati nel leggere queste poche righe di trama, avrete capito che il film non fa per voi…
A fiancheggiare il regista in questa impresa, ci sono Tilda Swinton, nei panni di Lucy Mirando e della sua gemella Nancy, una sorta di Crudelia Demon del nuovo millennio, e Paul Dano, un leader ambientalista e animalista che si batte per il diritto alla vita di Okja, il cui destino finale è diventare salsiccia, anzi salsicciona e costina, anzi costona di maialone. An Seo Hyung è Mija, l’intrepida compagna di Okja, tradita da un vecchio nonno da operetta orientale e da un etologo televisivo da strapazzo, interpretato da Jake Gyllenhaal (Animali notturni, Everest, Brokeback Mountains). Si sarà capito che non è un capolavoro. Siamo pronti a scommettere che sarà un successo Netflix, ma, tutto sommato, non vederlo al cinema è una consolazione.