UNA PARTE DI STORIA DELL’AFGANISTAN …NON DA DIMENTICARE PER QUESTO SIAMO PUNTO E A CAPO. NO DONNE AL GOVERNO, DONNE IN CLASSI A SCUOLA DIVISE DA UOMINI, DONNE A VISO E CAPO COPERTO, DONNE ACCOMPAGNATE..NON POSSONO ANDARE IN GIRO SOLE…DONNE GIUSTIZIATE. DONNE INSCOLTATE, MA SONO LORO CON I POCHI VACCINI COVID CHE SI OCCUPANO DEI BAMBINI.

Vi racconto cosa ho letto su  telescope..leggetelo perche’ è interessante. La vostra giornalista del cuore, inviata speciale laddove c’è qualche cosa di serio da dire…Buona lettura!. Avevo 5 anni quando ho sentito nominare l’Afghanistan per la prima volta. Una domenica pomeriggio le mie cuginette, sfogliando un Topolino, mi mostrarono entusiaste una nuova pubblicità che fece volare subito la nostra fantasia: era arrivato Bellezza, il nuovo cane di Barbie, un elegante levriero afghano. Per noi, bambine degli anni Settanta, quello strano cane con i capelli, affusolato, elegante, esotico, era destinato a diventare un oggetto del desiderio. «Mara, dov’è l’Afghanistan?» «Lontano, dall’altra parte del mondo.» «È bello, l’Afghanistan?» «È diverso da qui. La maestra dice che lì i bambini sono poveri.» «Ma anche lì le bambine giocano con Barbie e Bellezza?» «Non credo che le bambine possano giocare. Lì c’è la guerra.»

Era la fine del 1979. L’Armata Rossa stava per invadere il Paese, per poi abbandonarlo nel 1989 dopo una lunga e cruenta guerra contro i Mujaheddin. Qualche anno dopo arrivarono i Talebani, e, nel 2001, gli Stati Uniti decisero di esportare in Afghanistan il loro modello di democrazia, invadendolo militarmente, dopo l’attentato dell’11 settembre. Fino a qualche giorno fa, quando il ritiro di tutte le truppe statunitensi, insieme a tutti i contingenti NATO, ha consegnato nuovamente il Paese ai Talebani, entrati indisturbati a Kabul il 15 agosto.

Non c’è pace per l’Afghanistan, per quel Paese così lontano e così diverso che nei secoli nessuno è riuscito a conquistare militarmente. Non c’è pace per quel luogo che negli anni Settanta gli Occidentali vedevano come la promessa di un “oltre” verso cui rivolgersi, dopo la disillusione seguita alle speranze del ’68. Dove un artista come Alighiero Boetti aveva trovato la sua seconda casa, seguendo le orme di queo spezzarsi, ripiombando in un buio ancora più profondo.

«Forse è perché i nostri desideri sono cresciuti in un vaso nero…» scrive su Facebook Shamsia Hassani, artista afghana che si oppone all’oppressione delle donne della sua terra attaccando frontalmente i Talebani, i cui lavori rimbalzano in queste ore sui social.

«A nessuno importa di noi, moriremo lentamente nella storia». La frase della una giovane donna in lacrime che ha fatto il giro del mondo mi risuona costantemente in testa e mi chiedo perché non riesco a smettere di pensarci. Perché sento così vicina una tragedia così lontana? Cerco la risposta in quella condizione che accomuna tutte le donne del mondo, per cui ogni conquista sudata con lotte e sacrifici rappresenta un passo avanti che non è mai definitivo, ogni spazio di libertà rischia di essere cancellato in pochi giorni, nel silenzio generale. E non riesco a rimanere indifferente.

Questa sessantanovesima edizione di TELESCOPE è un’uscita speciale, un piccolo gesto dedicato all’Afganistan visto da lontano. Non ci troverete mostre e progetti culturali di cui siamo portavoce, ma racconti e testimonianze che con l’arte e la cultura hanno a che fare: Manuela Gandini, curatrice e critica d’arte, collaboratrice della Stampa, ci parla dell’Afghanistan di Alighiero Boetti; Alba Solaro, giornalista freelance firma del Venerdì di Repubblica, ripercorre il suo viaggio a Kabul con Pangea; Antonio Mancinelli, giornalista di moda già caporedattore di Marie Claire, ci parla del valore della cultura e dell’istruzione per coltivare libertà e indipendenza. Le immagini sono quasi tutte tratte dalla mostra La Terra Inquieta, a cura di Massimiliano Gioni, organizzata nel 2017 dalla Fondazione Nicola Trussardi con La Triennale di Milano.

Nella sezione EXTRA, riportiamo i link per donare a due organizzazioni che hanno a cuore l’Afghanistan e che da anni lavorano in quel territorio per migliorare la vita dei suoi abitanti: Pangea, attiva con progetti di microcredito ed autonomia femminile, ed Emergency, anche per ricordare il suo fondatore Gino Strada, che ci ha lasciati lo scorso 13 agosto e che proprio in Afganistan ha trascorso i primi lunghi anni del suo impegno umanitario”.

 


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