QUESTA E’ CANNES. L’ALTRA CANNES
Luciana Baldrighi
I primi ad andare al tappeto sono stati i giornalisti: annullata di punto in bianco la proiezione di Hands of Stones, nessun incontro con gli attori del cast… Ne è seguito un ingorgo ai cancelli per cercare di entrare nella serata rigorosamente a inviti e c’è stata qualche rudezza di troppo da parte del servizio d’ordine, anche se non si lamentano feriti…. Quarant’anni fa, quando Robert De Niro venne a Cannes per Taxi Driver, l’allora presidente della giuria, il drammaturgo Tennessee Williams, fece capire che a lui tutta quella violenza dal film promessa, non piaceva. Risultato: Martin Scorsese, Harvey Keitel e, appunto, De Niro non si mossero più dall’Eden Rock di Cap d’Antibes che li ospitava e lasciarono la tredicenne Jodie Foster a sbrogliarsela con i fotografi e le interviste…Ieri è stato un po’ lo stesso, con l’attore arrivato all’ultimo momento sulla montée de marches e poi salutato in sala con una standing ovation di prammatica.
Cinematograficamente parlando, Hand of Stones è un onesto film sulla boxe, ma la psicologia di Roberto Duràn, il pugile dalla “mani d pietra”, non va oltre al cliché del macho panamense che nel pugilato cerca di riscattare la sudditanza politica del suo paese (una colonia Usa) e di vincere l’amarezza per essere stato abbandonato dal padre, anche qui un americano, dopo aver messo incinta la madre.
La ragione del film, naturalmente, è De Niro, sul set invecchiato più del dovuto, ma sobrio e senza sbavature nell’interpretare Ray Arcel, l’allenatore che porterà Duràn a vincere il mondiale dei welter nel 1980. E’ un uomo stanco Ray, costretto a star fuori da quel mondo della boxe che conosce come nessun altro: in 50 anni di carriera ha plasmato 18 campioni del mondo…Poi però è entrato in urto con la mafia, ed è stato pregato di farsi da parte. Quando vede combattere il giovane Duràn sente che lì c’è qualcosa di diverso: “In 60 secondi ha cambiato la mia vita” dice la voce narrante del film, che è poi la sua. Pur di esserne il mentore, pur di portarlo al titolo, accetta persino di allenarlo gratis, perché solo così Cosa nostra gli permette di rientrare nel giro.
Nel cast Edgar Ramirez è Duràn, Ana de Armas è sua moglie Felicidad, Ellen Barkin è invece l’altra metà, intelligente e paziente, di Ray. John Turturro ha un cameo come Frankie Carbo, il boss mafioso che permette a quest’ultimo di allenare ancora, Reg. E. Catney è Don King, il più celebre manager del pugilato… Per la cronaca, su 119 incontri, in dodici anni di carriera, Duràn vinse 103 volte. Ma nel match di ritorno contro Ray Sugar Leonard, organizzato pochi mesi dopo il primo che gli era valso il titolo, appesantito e svogliato, a un certo punto se ne andò dal ring e smise per sempre.