ROBERT DE MOTESQUIOU, EDMOND DE POLIGNAC, MARIA ANTONIETA, PROUST, ALEXANDRE DINSIEME APPASSIONATAMENTE…E BUON 2021 A TUTTI!

Dartagnan, Aramis, Atos e Portos vi vidicono qualche cosa? Precisiamo che i moschettieri del Re di Francia Luigi XIII° e Luigi XIV° inizialmente erano in tre, ai quali si è aggiunto il guascone Dartagnan? Cosa c’ entrano questi vi direte? Nulla o poco piu’ di nulla, numericamente qualche cosa torna…alla faccia del concetto che la matematica non è una opinione…Mentre nei tre personaggi che si alternano in “L’uomo dalla vestaglia rossa”, di Julian Barnes (Einaudi, traduzione di Daniela Fargione, 286 pagine, 22 euro), esistono quattro ritratti, un po’ come accadeva per i tre moschettieri immortalati da Dumas…Lasciando stare per il momento, il Samuel-Jean Pozzi a cui si riferisce il titolo, il più blasonato era il principe Edmond de Polignac, il più esteta il conte Robert de Montesquiou-Fezensac. Il primo è stato raffigurato da James Tissot in Il circolo della rue Royale: i

n poltrona, adagiato pigramente, il pollice e l’indice della mano sinistra fra le pagine di un libro, la destra negligentemente piegata all’insù, gli occhi spersi nel vuoto, la carnagione pallida che spicca nella barba e nei favoriti rossicci, de Polignac è un po’ la quintessenza dell’aristocrazia che sta marcendo., un qualche cosa che oggi vediamo riaffiorare nella nostra classe politica..Ma torniamo a Polignac…Sua nonna era stata fra le “favorite” di Maria Antonietta, suo padre era stato l’uomo

politico la cui intransigenza aveva causato nel 1830 una rivolta popolare e la fine del legittimismo monarchico dei Borbone. Scapolo, omosessuale discreto, musicista dilettante, all’epoca del ritratto Edmond aveva 35 anni e per allora l’età era considerata gia avanzata. Edmond stava con negligenza dissipando il patrimonio familiare, l’unica attività in cui fosse maestro. Ci mise all’incirca vent’anni, il tempo di rimanere con una sedia in casa e un berretto di lana sulla testa, poi, grazie ai maneggi del suo amico de Montesquiou, sposò la ricchissima americana Winnaretta Singer, la cui fortuna discendeva dalle macchine da cucire del suo cognome, di trent’anni più giovane, lesbica e anche lei melomane. Per il decennio che durò fu un matrimonio felice. Vedete come tutto si lega? Di sé il principe amava dire: “Una testa di cavolo non può essere certo intelligente: non si ammala mai”. Durante la sua agonia, scambiò l’infermiera inglese che lo vegliava per una delle tate della sua infanzia e la redarguì: “Non ho niente da dire alla principessa di Galles alle tre del mattino”. Fu insomma principe fino all’ultimo. Si fu proprio così.

Va detto che Robert de Montesquiou è il soggetto di due dei quattro ritratti. Uno è di Giovanni Boldini ed è una sinfonia in marrone e grigio con due punte di acquamarina rappresentate dai gemelli del polsino sinistro e dal pomo del bastone di malacca. Il colore marrone rimanda alla “redingote” e al panciotto dell’abito, il grigio-acciaio ai guanti che coprono mani lunghe e nervose. L’insieme è di squisita quanto stupefacente eleganza. L’altro è di James McNeill Whistler e si intitola non, come per Boldini e un po’ come per tutti i ritratti, con il nome di chi vi è raffigurato, bensì con un riferimento cromatico: Abbinamento in nero e oro (corsivo da abbinamento). E’ difficile capire oggi, perché il tempo lo ha dissolto, dove fosse l’oro: resta però il nero della tenuta da sera e il grigio dei guanti e del mantello: chiaro il primo, più scuro e, sì, come dorato, il secondo. Stando a de Montesquiou, al momento di dare l’ultimo tocco Whistler gli gridò: “Guardatemi ancora per un istante e guarderete voi stesso per sempre”. (corsivo da guarderete) Non sorprende che entrambi lo ritenessero un capolavoro, un’assicurazione sulla posterità, ma noi continuiamo a preferirgli Boldini…Bravo a volte ripetitivo ma molto amato dalla buona borghesia.

In piu’ De Montesquiou è ricordato per essere stato il modello del barone Charlus nella Recherche di Proust, di des Essaintes in A’rebours di Huysmans, di de Passavent nei Falsari di Gide e di una nutrita schiera di romanzi oggi dimenticati in cui veniva caricaturato. Si definiva il “sovrano delle cose transitorie”, eccelleva “nel piacere aristocratico di dispiacere”, adorava travestirsi, nel senso che in ogni travestimento, da Aladino da Luigi XIV, da Giovanni Battista, era sempre travestito da sé stesso. Fu il simbolo per eccellenza della Belle Epoque, quando ancora non si chiamava così, lusso e mondanità, duelli e privilegi, vite inimitabili, estetismo al massimo grado e decadenza come un fiore all’occhiello…Che bello deve essere stao vivere in quel periodo e in quel mondo!!!

Samuel-Jean Pozzi, a cui va l’incondizionata simpatia di Barnes, è infine, con grande sopresa, scherzo,  l’uomo con la vestaglia rossa dell’omonimo ritratto di John Singer Sargent. Rispetto agli altri due, entrambi suoi amici, era un borghese e non un aristocratico, era eterosessuale e non omosessuale, era un uomo di scienza, chirurgo e ginecologo di fama nonché un uomo elegante, ma non era un dandy, perché, puntualizza Barnes, questo ideal-tipo in Inghilterra era strettamente legato all’aristocrazia, mentre in Francia comprendeva anche il coté artistico-bohémien…E’ una precisazione significativa, e tuttavia Oscar Wilde la contraddice con il suo essere uno scrittore dandy in una Inghilterra che non li contemplava e un dandy non aristocratico, essendo un figlio della buona borghesia decaduta e, per di più, irlandese, in una Inghilterra per la quale irlandese era oltretutto sinonimo di provinciale. Come che sia, è difficile negare che nel ritratto di Sargent più che l’uomo elegante ci sia, appunto, il dandy, a partire dalla pantofola ricamata in rosso che rimanda a una veste da camera dello stesso colore dalla cui cintura  cadono due nappe che,  loro volta, rimandano alle tende sullo sfondo, e il tutto contrastato dal bianco delle maniche ricamate e del colletto anch’esso ricamato della sottostante camicia, e dal nero della barba e dei capelli. “Vergognosamente bello” fu la definizione che la princesse de Monaco diede del soggetto di quel quadro, “le Docteur Dieu” fu l’epiteto coniato da Sarah Bernhardt per quello che fu sempre il suo medico di fiducia e qualche volta il suo amante…

E’ proprio intorno a Pozzi, alla sua vita, alle sue amicizie, ai suoi amori e ai suoi viaggi, Barnes ricostruisce magistralmente il clima di un’epoca, la cosiddetta “Belle Epoque”. Lo fa consapevole che “una biografia è una raccolta di buchi neri tenuta insieme da uno spago” e che “il passato è il giocattolo del presente felicemente incapace di rispondere”…Detto in alti termini, è un sentimento di superiorità e insieme di nevrosi quello che ci spinge a cercare di riempire a ogni costo quei “buchi neri”, l’idea che solo a noi sia possibile conoscere la verità nascosta,  quindi colpevole: “Il passato è muto per volontà divina, ma spesso ci comportiamo come se fosse muto per volontà criminosa”. La simpatia che l’autore nutre per Pozzi, all’interno di un periodo pieno di personaggi esemplari, oltre ai già citati, Henry James e Wagner, Paul Valery e Degas, i fratelli Goncourt eccetera, in pratica “la decadente, frenetica, violenta, narcisistica e nevrotica Belle Epoque”, è dovuta al suo coté razionale, progressista, internazionale. “Lo sciovinismo è una forma di ignoranza” era la parola d’ordine di Pozzi e Barnes confessa che a fargli amare ancora di più questa “sorte di eroe” sia stata la Brexit, con il suo “masochistico” isolazionismo. “Ci sono molte ragioni -aggiunge- per restare sconcertati di fronte all’attuale atteggiamento inglese nei confronti dell’Europa”. “Attuale”? Fatevi una domanda e datevi una risposta!


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