TEMPO DI LIBRI”. LA GIORNALISTA FRANCESE ADELAIDE DE CLERMONT-TONNERRE PRESENTA “L’ULTIMO DI NOI” IL 9 MARZO ALLE ORE 19
“‘ Tempo di libri”. E questa volta il volume che verrà presentato sarà “L’ultimo di noi ” di Adelaìde de Clermont-Tonnere. La giornalista e scrittrice, venerdì 9 marzo alle ore 19 avrà accanto a sè Margherita Oggero e Maurizio Cabona quali relatori. Qui di seguito anticipo alcune delle domande che Cabona fa alla scrittrice francese. Appuntamento dunque in via Scarampo 6 MM Domodossoa Fiera Milano.
Premessa. E’ la Francia – più della Germania – che ha un passato che non passa. Il suo ‘900 schiera il maresciallo Philippe Pétain come “scudo” e il generale Charles de Gaulle come “spada”; poi François Mitterrand, vicino a Pétain fino al 1944, che dal 1981 diventa presidente, quindi erede di De Gaulle. Tutti costoro sono stati coinvolti nel crollo del giugno 1940. Il 18 di quel mese De Gaulle, sottosegretario alla Guerra, ormai esule, dice da Radio Londra: “La Francia ha perso una battaglia, non la guerra”. E proclama unico legittimo il suo “governo”, inventato grazie a Churchill, miraggio di uno Stato senza un popolo e senza territorio. La fortuna l’aiuta: i suoi alleati vincono.
Nel 1944 il generale De Gaulle rientra a Parigi e convince i francesi di aver riscattato l’onore, a soprattutto il rango della Francia. Ma presto i sogni lasciano il posto alla realtà. Quasi tutto l’impero coloniale va perduto tra 1954 e 1962. Nel 1969 De Gaulle si dimette. L’erosione del suo mito gollista comincia. Ma quel mito è stato fondamentale perché la Francia si svincolasse dall’egemonia statunitense. E arriva la punizione. E’ proprio uno storico statunitense, Robert Paxton, a raccontare nel 1973 ai francesi quello che, peraltro, sapevano, ma avevano rimosso: quanto maggioritario sia stato il consenso per Pétain e quanto sia stata esile la Resistenza…
In un Paese dedito al rimorso, come lavorare senza allinearsi? Ci prova Adélaïde de Clermont-Tonnerre con L’ultimo di noi (trad. di Margherita Belardetti, Sperling & Kupfer, pagg. 383, euro 18,90), proiettando le angosce francesi dai primi anni ’70 sugli Stati Uniti della stessa epoca. L’ultimo di noi è infatti un titolo che si riferisce a un bimbo nato nel febbraio 1945, sotto il bombardamento anglo-americano di Dresda, fatto per ammazzare i tedeschi e intimorire i russi (perché gli alleati di oggi sono i nemici di domani), giunti ormai vicini alla città sassone.
Il bimbo, subito orfano, viene portato negli Stati Uniti e qui adottato da madre normanna e adattato al sogno americano. Affiorano dunque le questioni delle origini, si perpetua l’uso politico di colpe che sono tali solo quando sono attribuibili ai vinti e si sognano nemesi implacabili. Intorno, la società del benessere, che ha ereditato dal presidente Kennedy la guerra francese in Indocina, mentre giungono alla ribalta i baby-boomers, i numerosissimi figli del dopoguerra.
Signora, L’ultimo di noi in sintesi…
“… Un amore proibito in un’epoca permissiva”.
Protagonista?
“Werner Zilch. Nasce a Dresda sotto il bombardamento del 1945. Orfano, è l’ultimo di una famiglia influente che ha perduto tutto”.
Questo è l’inizio. E poi?
“Venticinque anni dopo lo ritroviamo a New York. Adottato da bambino da una coppia della classe media americana, è un rampante in cerca di affermazione. Ignora il suo passato e i genitori biologici. Il suo folle amore per Rebecca, giovane artista, figlia di uno degli uomini più potenti degli Stati Uniti, lo costringerà a riaprire la pagina dolorosa delle sue origini”.
Perché ha scritto questo libro?
“Per evadere, portando il lettore con me. Talora la quotidianità mi soffoca. Mi serve vibrare in una realtà parallela. Scrivere è libertà assoluta. Nessuno ti dice che cosa fare, né dove andare”.
E’ un romanzo storico?
“E’ un romanzo con una trama storica: la Manhattan frizzante ai tempi di Bob Dylan, Patti Smith, Andy Warhol e della sua Factory… Avendo in contrappunto la fine della seconda guerra mondiale in Europa e l’operazione Paperclip, che sottrasse a Von Braun, inventore dei missili tedeschi V2, ai processi politici del dopoguerra, facendolo accogliere sul suolo americano con 117 membri del suo gruppo. Entro pochi anni egli dirigerà quella che diverrà la Nasa, mandando gli americani sulla Luna”.
Che rapporto c’è tra Von Braun e Andy Warhol, tra Dresda e Manhattan?
“Queste epoche sono legate al di là della trama del romanzo. Con questo libro tento di capire da dove venga la profonda malinconia attuale. Certo, attraversiamo una grave crisi, ma essa non è paragonabile a ciò che hanno conosciuto i nostri genitori o nonni. Loro hanno vissuto l’inumano, l’indicibile, eppure nei primi tre decenni del dopoguerra c’erano gioia di vivere e sfrenata creatività… Il mese di ferie pagate era una fuga in avanti. Con un passato atroce come la seconda guerra mondiale, occorreva credere nel presente e nell’avvenire. Oggi è l’inverso”.
(Adélaïde de Clermont-Tonnerre)
Lei ama l’invenzione…
“… E non l’inclinazione al reale impadronitasi di letteratura, cinema, arte in genere. Romanzesca o amorosa che sia, preferisco la finzione, spesso più ‘vera’ del vero. Il bisogno di attingere all’esistente talora mi pare un’ammissione d’impotenza. Certi autori ne fanno libri meravigliosi, ma io sarò sempre più attratta dall’invenzione, appunto, cioè da chi crea mondi dove rifugiarsi quando non si sopporta il nostro”.
C’è poi la questione del doppio.
“La tragedia sottesa a questa storia nasce infatti da una relazione tossica tra fratelli nemici, sposati ad amiche inseparabili. Il loro odio si ripercuote su due continenti, due generazioni e vari decenni. Il tema del doppio percorre tutto il romanzo, specie nella profonda amicizia tra Werner e Marcus. Il mio eroe non regge la solitudine. E’ ambizioso, determinato, ma non individualista”.
E’ anche la storia di una passione…
“…Irreprimibile. L’attrazione tra Werner e Rebecca è immediata, potente, carnale. Werner vuole regnare, Rebecca liberarsi dal suo ambiente. Per lui, lei è la donna dell’ascesa; per lei, lui è l’uomo dell’emancipazione. Nulla pare opporsi a loro. Una rivelazione tronca questo slancio. Un divieto troppo forte per amarsi ancora…”
Gran parte dell’Ultimo di noi si svolge negli anni ‘70. L’attirano tanto?
“Un po’. Sono la gioventù dei miei genitori: tutti, credo, vorremmo genitori giovani. Poi perché sono un decennio affascinante. I soldi, allora, erano molto, ma non tutto. Quindi è un periodo d’intensa creatività musicale, artistica, letteraria, ma anche d’intensa libertà: si guida veloce, si fuma di tutto, si beve molto e si va a letto con chi si vuole, senza inquietudine e retro-pensieri. C’è uno slancio formidabile. Un sogno folle di cambiare il mondo”.
Che cosa resta di quei giorni?
“Soprattutto l’essenziale delle tematiche degli anni ‘70 è divenuto ciò che oggi preoccupa. Nel bene: salvare il pianeta, realizzare un’economia partecipativa, solidale, puntare alla decrescita, slow food, tendenza nata in Italia. E nel male: estremismi, terrorismi, indipendentismi, ecc. Ma negli anni ‘70 tali idee nascevano dalla prosperità; oggi rinascono dalla crisi. Siamo il negativo dei ’70”. (Copyright “Il Barbadillo.it).