TRIONFANO AL FRANCO PARENTI GLI SPETTACOLI “PRIMA DEL SILENZIO” E “IL TORMENTO E L’ESTASI” DI STEVE JOBB. IL TEATRO FONDATO NEL 1972 E’ DIRETTO DA ANDREE RUTH SHAMMAH

  • Ultimo giorno per vedere due spettacoli che veramente meritano al Teatro Franco Parenti di Milano, “Prima del silenzio” di Giuseppe Patroni Griffi con Leo Gullotta e Eugenio Franceschini e con le apparizioni di Sergio Mascherpa, Andrea Giuliano, e con “l’apparizione” speciale di Paola Gassman con la regia di Fabio Grossi. . La produzione è del Teatro Eliseo in collaborazione con Fuxia contesti d’immagine. Il tutto dura 90 minuti. Minuti preziosi in cui non viene persa nemmeno una parola dal pubblico attento e coinvolto tanto da rispecchiarsi nel protagonista, un “vecchio” padre alle prese con un giovane figlio in età adolescenziale. Un quadro pseudo familiare nel quali si riconoscono in tanti. Tra il pubblico c’erano anche pochi ragazzi che hanno applaudito al lavoro di Patroni Griffi, attuale più che mai, dove a fare da padrona è la “parola” che si contrappone al “silenzio”, un silenzio che ha un suo linguaggio, diverso dalla parola dell’adulto genitore. Ma non si tratta di chi vince o chi perde nella partita della vita, è solamente il senso che da essa ne deriva è quello che messo in discussione.

In principio era la parola? Il verbo? In principio era il pensiero? In principio era l’azione?….Quale di questi interrogativi possiamo mettere al primo posto nel caso in cui ci dovessimo mettere in testa di stilare una classifica del senso del comunicare tra individui di diverse generazioni, pensieri diversi, formazioni diverse, educazioni diverse, modelli diversi, sensibilità empiriche diverse….? Quante domande ci poniamo da giovani e quali risposte ci diamo da uomini maturi? Perché vogliamo a tutti i costi comprendere cosa hanno nella testa i nostri giovani? Perché abbiamo bisogno di trarre energia da loro? Rivivere la loro gioventù come se fosse la nostra, ma non ci va bene se loro sono diversi nel sentire, nel pensare, nel concepire un ricordo……

La scena si apre con uno sfondo nero delimitato geometricamente in prospettiva da dei tubolari di neon sopra i quali c’è scritto “Prima del silenzio”, poi appare un padre di mezza età seduto su un divano rosso con il figlio ventenne; il divano si trasforma idealmente in una barco ed essi remano insieme sullo sfondo di un mare burrascoso e sotto un cielo dalle mille sfumature: nuvole bianche su un cielo azzurro, tramonti rossi, cieli imbiancati dal caldo o dalla moda, proprio come avveniva in pittura, mode, forme del tempo, giochi della natura che tutti ricordiamo quando siamo stati tanto bene su una spiaggia d’estate da giovani. Immagini che ci portiamo dentro e che vorremmo comunicare per potere almeno dire che siamo stati giovani anche noi, tra genio e sgregolatezza…ma anche con qualche cretineria.

Il talento di Leo Gullotta è come sempre poliedrico, in questo caso, messo interamente al servizio del testo intenso di Patroni Griffi. Quel testo lo vidi recitare se ricordo bene da Romolo Valli in una serata fatidica. Il Teatro Eliseo di Patroni Griffi è stato il teatro dove ho messo in scena il mio primo testo “Fausten” con la mia regia e la musica di Arturo Annecchino, voce recitante, Alessandro Haber (al pianoforte lo stesso Annecchino, al violino Luigi De Filippi e al violoncello Maurizio …che si alternava a un’altra brava violoncellista). Una strana coincidenza, fu in questo periodo proprio nella sala del Pierlombardo che a 18 anni feci un’audizione, un provino teatrale e lasciai una mia foto nell’archivio. Questo lo volle Andrèe Ruth Shammah. Avevo portato un testo sudamericano che recitai con le mimiche che mi aveva insegnato il mio amico Enzo Jannacci, mentre continuavo a recitare lasciavo cadere con indifferenza fogli bianchi sul palcoscenico…Mi portò fortuna il Teatro di Franco Parenti perché un giorno venne un regista a chiedermi se mi sarebbe piaciuto fare l’interprete di Don Giovanni…ma lasciamo da parte i ricordi e le coincidenze e torniamo allo spettacolo in questione, “Prima del silenzio”.  Il succo del testo è presto detto: un “vecchio” poeta si lascia alle spalle tutto, la poesia stessa, la famiglia, la moglie, un figlio, i domestici, una vita agiata, per parlare con un ragazzo, simbolo di zingaresca libertà, al quale lo legano forze ambigue: amicizia, sesso, amore e incomprensione generazionale. Insomma padre e figlio….Le parole per il primo sono simbolo di creatività, un modo per sentirsi ancora vivo e per il secondo sono il “limite”…che necessità c’è di raccontarsi e di raccontare, di conoscersi? I fatti accadono e basta sembrerebbe volerci dire questo giovane che con la forza dei suoi 20 anni si sente un eroe nel “nulla della vita”. LO spettacolo è tagliente e incalzante e i due attori entrambi bravi.

In contemporanea, sempre al Franco Parenti o Pierlombardo, come si è sempre detto perchè il teatro si trova in via Pier Lombardo, dal 1972 Stabile di Produzione Teatrale, c’è un altro spettacolo che incuriosisce molto i giovani e i seguaci di Steve Jobs dal titolo “Il Tormento e l’estasi di Steve Jobs” di Mike Daisey con Fulvio Falzarano e la regia di Giampiero Solari. La produzione è del teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Durata 65 minuti. Il testo recita i successi di Jobs e della Apple alle rivelazioni sul prezzo umano pagato per produrli. Il testo di Daisley si è basato su un’inchiesta accurata che ha tenuto conto di tutto il materiale a disposizione in circolazione sulla vita di Jobs, “santone e guru” per alcuni, non soltanto di tecnologia, e “imbroglione, cinico e arrampicatore” per altri ancora…

Daisey è considerato il Michael Moore del Teatro. Si arriva in Cina, a Shenzhen dove ha sede la Foxconn da cui provengono quasi tutti i gadget tecnologici che il mercato ci propina e dove il problema dei “suicidi in serie” degli operai (molti anche bambini), “ingranaggi umani” senza tutele ne diritti, viene risolto installando reti sotto i capannoni in maniera tale da tamponare l’effetto… In questo caso il teatro continua a dimostrare quanta forza di denuncia e di comunicazione continua ad avere anche su fatti legati alla contemporaneità. Fulvio Falzarano ha dato prova di grande abilità nel recitare l’interessante testo magnetico. Nel foyer del teatro foto e testi di denuncia accompagnati agli slogan poetici e filosofici di Jobs. Ma sono certa che luce verrà fatta su questa fabbrica  tecnologica, purtroppo di queste fabbriche anche in altri settori ce ne sono tante, come quelle che producono fiori colorati come rose alte un mero e mezzo create con concimi chimici che producono la morte di uomini, donne e ragazzini; nella migliore delle ipotesi ti prendi il cancro, così come te lo prendi in certi laboratori di chimica specie nel settore farmaceutico. Le rose di cui parlavo, le più quotate alla Borsa di Amsterdam tenerle in camera da letto quando si dorme possono essere dannose. E mi fermo a questo.

Tornando al Teatro Pier Lombardo fondato nel 1972 da Franco parenti e Andrèe Ruth Shamman, Dante Isella e Gian Maurizio Fercioni, diventò subito il punto di riferimento della vita culturale cittadina tanto da fare concorrenza al Piccolo Teatro. Come si può dimenticare la Trilogia di Testori (Amleto-Macbetto-Edipus), il Malato Immaginario, il Misantropo di Molière, i Promessi Sposi alla Prova con la regia della Shamman, fanno ormai parte della storia del teatro del nostro Bel Paese. La Doppia incostanza di Marivaux, il Maggiore Barbara di Shaw, La Palla al piede di Feydeau, il Bosco di Notte di Sansone, Timone d’Atene di Shakespeare, si sono imposti proiettandosi verso una “forma aperta”, di “teatro aperto”. Con la scomparsa di Franco parenti nel 1989, Andrèe Ruth Shamman prende la direzione del Teatro e trasforma il nome del Pier Lombardo in Franco Parenti. A sostenerlo, il Ministero per i Beni e le attività Culturali, la Regione Lombardia, il Comune di Milano, Impresa Sanpaolo, Pirelli, Fastweb, AcomeA..Lunga a vita al Franco Parenti dunque. Ma voglio essere sincera, lo preferivo quando era una sala unica o meglio, il problema non è il fatto che ci siano due sale, anzi, credo che creino più opportunità, ma non amo il restauro architettonico o meglio il progetto architettonico che lo incupisce; mattoni a vista, una sorta di muri con l’intonaco sfatto, una sorta di “working progres”. Non mi ricordo nemmeno l’architetto che se ne è occupato e poi tutte quelle ringhiere, quel ridurre al minimo come se fosse un teatro sopravvissuto alle bombe della guerra, ma forse è per questo che piace, una Fenice risorta dalle ceneri…


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