UNA CORRISPONDENZA INEDITA. GIO' PONTI E LA RICHARD GINORI
Era da tempo che con l’architetto e professore Marco Albini stavamo cercando di fare una mostra di design dei grandi Maestri dell’architettira, tra cui Giò Ponti, il padre di Marco Albini, Franco, Marco Zanuso, Luigi Caccia-Domignoni, Ignazio Gardella ecc.., ci siamo arenati davanti al lavoro che porta via alla Triennale l’Expo, ma i contatti con il suo presidente, Claudio De Albertis (forse candidato sindaco non di certo della sinistra, dalle promettenti attitudini: presidente di Assoedilizia, della Triennale e titolare dell’Impresa di famiglia Borio Mangiarotti, quindi imprenditore pure….), sono vivi più che mai. Mi sono messa di buzzo buono e ho vinto la pigrizia di superare mille cantieri che l’Amministrazione Pisapia sta ancora cercando di terminare per l’inizio di Expo (il tutto marcia con scandali e lentezza. Ancora a pochi giorni mancano praticamente il 40 per cento dei lavori a pochi giorni dalla sua apertura) e arrivata a Monza sono entrata a Palazzo Reale per vedere la veramente interessante mostra di lavori di Giò Ponti per la casa di ceramiche Richard Ginori che ha chiuso purtroppo i battenti con questa terribile crisi, un tempo un’eccellenza nel settore in Italia e all’estero. Certe cose non si capiscono, perchè non è stata acquisita da americani o cinesi? Mi ricordo che lo stesso Albini a Laveno dove c’era una grossa fabbrica lui stesso aveva progettato un museo, ma poi le amministrazioni che si sono succedute hanno deciso di demolire l’enorme fabbrica e destinare l’area a centri commerciali e orribili palazzoni sul lago.
Dal 12 aprile la Triennale Design Museum presenta negli spazi del Belvedere della Villa Reale di Monza Gio Ponti e la Richard-Ginori: una corrispondenza inedita, a cura di Livia Frescobaldi Malenchini e Oliva Rucellai, una mostra promossa dall’Associazione Amici di Doccia e realizzata grazie al contributo di Fondazione Cariplo, di Frette e di Intesa Sanpaolo Private Banking. Anima della Triennale da anni è Silavna Annicchiarico, direttore del Triennale Design Museum, la quale per l’occasione afferma: “Con questa mostra il Triennale Design Museum porta a piena maturazione il suo progetto originario: quello di affiancare agli spazi del Palazzo dell’Arte di Muzio (dove il Museo del Design sperimenta una forma mutante che ogni anno cambia punto di vista e prospettiva) anche uno spazio espositivo – il Belvedere della Villa Reale – che accolga la Collezione Permanente del Design Italiano (che al Museo milanese offre linfa, pezzi, materiali, suggestioni, idee), ma anche un ulteriore piccolo spazio – quello che ora accoglie appunto Gio Ponti – che valorizzi le eccellenze, gli archivi e i giacimenti disseminati nel territorio italiano. Penso e sostengo da sempre che l’Italia è una sorta di grande museo diffuso con una rete unica al mondo di collezioni, giacimenti, musei aziendali, capillarmente distribuiti nel territorio. Compito di un’istituzione come il Triennale Design Museum è quello di dare spazio e occasioni di rappresentazione a questa rete di giacimenti. La scelta di riportare Gio Ponti a Monza grazie agli Amici di Doccia e al Museo Richard-Ginori, chiuso dal maggio 2014, va proprio in questa direzione”. Ma questo Museo risorto dalle ceneri, non può essere vetrina di una eccellenza italiana, il nostro artigianato. E’ come se le Porcellane di Messen o Limoges o di Sevres svanissero nel nulla.
Mi ricordo il negozio ricco di vetrine della Ginori in Corso Matteotti a Milano, erano meta di visitatori, come il Museo, si facevano le liste per i regali di nozze…a questo punto mi chiedo se vengono ancora prodotte le porcellane di Capodimonte, oggi come oggi c’è da domandarsela, se ne va in mano ai cinesi anche la Pirelli, un esempio che nulla ha a che fare per tema, non produce porcellane, ma è pur sempre una grande azienda che tutto il mondo ci invidiava per prodotti che produceva e che in minor parte produce ancora. Fino al 7 di giugno siete in tempo per vedere ciò che non ci sarà più offerto, una bella storia, la storia di una produzione artigianale andata scomparendo non solo perchè Gio Ponti è morto, ma anche perchè la stessa Ginori non produce più in serie manifattura firmate.
Veniamo alla mostra che presenta circa cinquanta opere, tra le meno note, provenienti dalla collezione di ceramiche del Museo di Doccia e una selezione di lettere, per la maggior parte inedite, provenienti dall’archivio della Manifattura di Doccia, con schizzi, disegni e indicazioni di fabbricazione. Particolare rilievo è dato alla relazione di Gio Ponti e della Richard-Ginori con Monza: il 19 maggio 1923 è la data in cui Ponti espone per la prima volta alla Villa Reale, sede della Biennale Internazionale di Arti decorative (che diventerà l’attuale Triennale) dal 1923 al 1930. La collaborazione con Richard-Ginori è di fatto l’esordio e il primo grande successo della sua carriera, che lo vede coinvolto non in veste di architetto, ma di direttore artistico. Di Monza si parla continuamente nel carteggio; gli appuntamenti di Monza scandiscono il lavoro di quegli anni agendo come formidabile motore di rinnovamento; si lavorava alacremente per conquistare i riconoscimenti della giuria, gli elogi dei critici e il sempre auspicato risultato commerciale.
Vi sono anche le lettere che rappresentano un nuovo spunto per indagare sul metodo lavorativo di Gio Ponti e sul suo rapporto con la Richard-Ginori, improntato a una costante ricerca di innovazione delle idee e del prodotto, e offrono al contempo l’occasione per riflettere sulla creatività italiana, di cui è stato uno tra i maggiori rappresentanti a livello internazionale. Le opere presentate evidenziano, invece, il legame stretto tra l’idea e il prodotto stesso, affiancando il disegno o lo schizzo originale all’oggetto poi effettivamente realizzato a Doccia. Una passione, quella per il disegno e per la pittura, che aveva portato Ponti spesso a definirsi “un architetto fallito ed un pittore mancato”.
Il genio di Ponti riusciva a pensare e a realizzare più idee nello stesso momento, lavorando giorno e notte, pensando e disegnando continuamente, ovunque e su ogni cosa avesse a disposizione. In mostra troviamo una varietà di supporti cartacei ad esempio appunti su fogli di taccuino, su cartoline, su carta da lettere intestata Hotel Lotti di Parigi durante il suo soggiorno per l’Esposizione Universale del 1925, lettere dattiloscritte etc. Alcune delle ceramiche esposte non sono entrate in produzione seriale, ad esempio la “Mano della fattucchiera”, il vaso “Le mie donne” e la cista con il “Trionfo dell’amore e della morte”, pezzi rari della preziosa collezione del Museo Richard-Ginori. Una mostra volutamente piccola, che intende anche valorizzare oggetti meno conosciuti, come i portagioie, le due figure di Angeli modellate da Libero Andreotti, oppure gli Elefanti appaiati in porcellana bianca.
Per visitare l’esposizione con un certo criterio bisogna seguire il percorso suggerito dai curatori. I pezzi sono organizzati in sezioni specifiche: dall’idea al prodotto, le committenze speciali, la comunicazione, il ruolo delle mostre e l’importanza dei collaboratori. Tra gli oggetti esposti, testimonianza delle committenze speciali ricevute da Ponti, spiccano un grande “Vaso a potiche” in maiolica blu e bronzo dorato, richiestogli dalla Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, e un “Capriolo fra palme”, parte di un importante trionfo da tavola commissionatogli dal Ministero degli Esteri per le Ambasciate d’Italia.
Sulla bomboniera “Omaggio agli snob”, invece, ironico messaggio di Ponti per il mondo culturale elitario, due figure danzano in abiti della tradizione popolare, esempio della vena più innovativa dell’artista, svincolata dalla classicità che pervade invece altre sue opere. Dopo la prima guerra mondiale, la Richard Ginori, che con i suoi cinque stabilimenti è ormai una delle principali industrie ceramiche in Europa, vive una delle sue età più gloriose. Il merito principale è del giovane architetto Gio Ponti (1891-1979), che inizia a collaborare con la società nel 1922 e ne diventa il direttore artistico per un decennio, dal 1923 al 1933. Il suo talento immaginifico, la sua passione per l’industria e, al tempo stesso, per l’artigianato più raffinato, la sua capacità di guidare il gusto dei suoi contemporanei interpretandone con ironia le aspettative, ne fanno l’ideale rinnovatore delle ceramiche d’arte Richard Ginori. Il pubblico e la critica lo acclamano sia in Italia che all’estero e nel 1925, all’Esposizione internazionale di arti decorative di Parigi, riceve il gran premio della giuria. Così narra la storia.
Il carteggio fra il design e progettista Gio Ponti, che lavora a Milano, e la Manifattura di Doccia comprende 230 lettere, per un totale di 426 carte. Sebbene non sia completa, insieme ai disegni, ai cataloghi, alle foto d’epoca e ad altri documenti, conservati nell’archivio del Museo Richard Ginori, questa corrispondenza costituisce una testimonianza impareggiabile per lo studio della produzione “pontiana” di Doccia e più in generale per la conoscenza dell’artista. Oltre a fornire dati utili per stabilire la cronologia e l’attribuzione delle ceramiche, le lettere autografe offrono un punto di vista ravvicinato sul lavoro dell’architetto milanese e sul suo modo di operare nel contesto industriale e manifatturiero della società Ceramica Richard Ginori.
Eemerge chiaramente, sfogliando queste lettere appassionate, il suo ruolo di vero e proprio industrial designer, paragonabile solo al lavoro svolto in Germania da Peter Behrens per AEG (Compagnia generale di elettricità di Berlino). Gio Ponti si occupa in prima persona di ogni aspetto della produzione, dal passaggio dalla prima idea, spesso presentata sotto forma di schizzo, al suo sviluppo, determinato di volta in volta dal concorrere di diversi fattori. Realizza nuovi colori come il blu Ponti, in due tonalità, crea confezioni ed etichette per i prezzi, inventa marchi e emblemi identificativi degli oggetti prodotti e dell’intera manifattura, progetta i padiglioni per le esposizioni, discute le cifre con cui gli oggetti devono essere messi in vendita, valutandone la commerciabilità.
Proprio lo stesso Giò Ponti è tra i primi a interessarsi anche dell’aspetto promozionale e di comunicazione, curando la presentazione grafica e fotografica del prodotto, le relazioni con la stampa, grazie anche alla rivista Domus da lui stesso fondata nel 1928, i rapporti con critici influenti – Margherita Sarfatti, Ugo Ojetti, Roberto Papini – e con i clienti più prestigiosi. Molte di queste missive sono dirette a Luigi Tazzini, suo “braccio destro” a Doccia, direttore artistico della Manifattura toscana. Testimoniano il rapporto di estrema fiducia tra i due, un rapporto non solo professionale ma anche di amicizia e di rispetto. Tazzini dimostra di possedere doti di estrema pazienza, avendo a che fare con un carattere deciso e suscettibile come quello del collega milanese. Si legge anche di come siano coinvolti altri artisti in molti dei progetti di Ponti: gli scultori Libero Andreotti e Italo Griselli, l’architetto Giovanni Muzio, la decoratrice Elena Diana, il pittore di maiolica Vittorio Faggi e altri ancora. Lunga vita alle ceramiche della Richard Ginori rimaste nelle mani di collezionisti o musei e un grazie a chi ha voluto regalci un pezzo di storia d’Italia con questi stupendi pezzi esposti e sulla storia del rapporto tra Ponti e la Ginori committente di forte prestigio per l’Italia di allora e per il mondo intero. Chi non ha in casa un servizio di The , caffè o un vaso o anche un piatto decorato ereditato da madri o nonne? Forse pochi, ma quei pochi sono già tanti ed io mi sento fortunata, almeno in questo.