VOLGA BLUES ..GAMAM FELTRINELLI DI MARZIO G. MIAN…UN VIAGGIO INDIMENTICABILE

Puo’ suonare strano…”Volga blues” (Gramma-Feltrinelli, 316 pagine, 20 euro)ma  è il bel titolo scelto da Marzio G. Mian per raccontare dall’interno, seimila i chilometri percorsi, un mese all’incirca il tempo impiegato, un Paese di cui sappiamo poco, ma che è sulla bocca di tutti. Vi ricordate anche “Il Volga si getta nel Mar Caspio?  di Boris Abdreevic Pilnjak, la cui stesura risale al 1929? La sua copertina e’ sempre stata inconfondibile……(lo trovate con la sua belal copertina nel Club degli Editori).

La metafora del Volga come totem e destino di un popolo, richiama alla mente quell’immagine gogoliana della trojka in Le anime morte, la Russia che vola via “come un’ardita , insuperabile trojka. Fuma sotto di te la strada, rimbombano i ponti, tutto si distanzia e rimane indietro (…) che significa questa terrificante corsa? E quale ignota forza è racchiusa in questi cavalli, ignoti al mondo (…)Divora lo spazio la trojka, tutta infusa dell’afflato di Dio!…Russia dove voli tu? Rispondi. Non risponde”. Allo stesso modo che per il grande fiume, sono la vastità e l’estraneità ciò che si impone, la dilatazione dei tempi e degli spazi, una sorta di percorso che sembra non avere un fine e insieme non volersi mai arrestare…

Dalla sorgente nella regione del Valdaj, fra San Pietroburgo e Mosca, il Volga serpeggia e si distende sino ad Astrakan’, sul Mar Caspio: nel suo percorso incontra la Russia rurale e quella industriale, quella che fu la Russia zarista e poi marxista leninista e oggi è la Russia imperiale di Putin, le izbe e le fabbriche, la città di Ul’ianovsk, un tempo Simbirsk, che diede i natali a Lenin e al suo avversario Kerenskij al tempo della Rivoluzione d’ottobre, allo scrittore Gonciarov, l’autore di Oblomov, ma anche la città di Kazan, che faceva dire  Caterina di Russia, “sono in Asia”, e la città di Stalingrado, oggi Volgograd, dove per molti versi si decisero le sorti della Seconda guerra mondiale…

Da inviato attento ma aperto ad ogni distrazione come un vaiggiatore è solito fare, e nonostante tutte le difficoltà e i rischi che comporta il muoversi senza quel visto giornalistico che se da un lato gli farebbe da possibile anche se non assoluto salvacondotto, dall’altro lo metterebbe sicuramente sotto controllo, Mian osserva, mentalmente registra, incontra, approfondisce, fa paragoni, ripassa opportunamente la storia e quando è il caso la ricostruisce e/o la ripulisce dalle scorie della propaganda. Avrà studiato altri testi ovviamente come ogni scrittore…Il risultato è un ritratto che ha poco a che vedere con gli stereotipi e i paraocchi dell’Occidente, ovvero un Paese in crisi, arretrato, impaurito e insieme imprigionato dall’interno. Il ritratto verrebbe da dire, e al contrario, di un impero, con la megalomania nazionale che esso comporta, di cui la stessa guerra in Ucraina è, piaccia o meno, una guerra imperiale, ultimo atto di quella che era stata per oltre un decennio una guerra civile e di confine.

Per delinearlo meglio, Mian ricorre a due parole. La prima è passionarnost, termine coniato dallo storico Lev Gumil”ev, il figlio della poetessa Anna Achmatova: indicava “la capacità, propria solo di alcuni uomini, di dare se stessi per una causa che superasse l’interesse individuale”, una sorta di “destino-manifesto, ma scritto in cirillico”. Come sottolinea Mian, che “un così importante contributo linguistico” alla glorificazione della storia e della mentalità russa, “provenga da chi sperimentò duramente e a lungo -in compagnia di molti altri intellettuali- i gulag siberiani e la tortura”, se da una parte ne sottolinea la complessità, dall’altra rimanda a ciò che resta una costante della sua storia, il lato religioso e insieme ortodosso, messianico nel suo separarsi dall’Occidente per salvare sé stesso e l’Occidente stesso. Gumilov, insomma, sapeva che dietro l’Urss c’era la Russia, ovvero che dietro il comunismo c’era l’impero: il primo aveva a che fare con le ideologie, che passano, il secondo con le radici, che non gelano.

Sarà anche vero, come osserva Mian, che quel termine rimane “oscuro per la maggioranza dei russi”, quel che però risulta evidente è lo spirito di sacrificio di cui quegli stessi russi hanno sempre saputo dar prova e che, nella Grande guerra patriottica, quella contro Hitler, andò oltre ogni limite immaginabile, per numero di morti, di distruzioni, di sofferenze. E non è un caso che allora Stalin mise in campo a fianco del suo esercito, “i preti ortodossi e gli eroi zaristi”, i pope, le icone e la tradizione, insomma, ancora e sempre la Russia eterna.

L’altra parola è smute, qualcosa che ha a che fare con il disfacimento, un disordine che è nazionale e insieme esistenziale. Rimanda all’implosione dell’Urss all’indomani del 1989, quando Elc’in soppiantò Gorbaciov in quello che Mian sintetizza come “il decennio stramaledetto dei Novanta, la Grande Madre Russia scaraventata sulla piazza del libero mercato. Una classe di rampanti, spregiudicati e spesso pregiudicati ex funzionari di partito, ex banchieri sovietici, economisti e scienziati si avventava sul bottino, impiantando banche private utili a finanziare le rapine e ad accumulare capitali all’estero con l’aiuto dei nuovi ‘amici’ banchieri occidentali”. Non si capisce nulla di Putin, della Russia di Putin, del suo consenso, drogato eppure reale, della diffidenza verso il sistema liberale, se non si torna a quegli anni, allo sconquasso che essi provocarono, alla pochezza, incapacità, dilettantismo, stupidità, chiamatela come volete, della classe dirigente post-sovietica, ma anche al cinismo e al delirio di onnipotenza di quella occidentale in senso lato, statunitense in senso stretto, “le immense, innegabili responsabilità occidentali nella gestione di quello snodo cruciale della Storia contemporanea”.

E’ un qualcosa che Andrej Kozyrev, l’allora giovane ministro degli Esteri di Elc’in, che oggi vive più o meno in esilio negli Stati Uniti, ha riassunto per Mian utilizzando la formula di “dottrina degli spinaci”, mutuandola da quanto l’allora consigliere di Clinton, Strom Talbott, andava dichiarando: “Gli Stati Uniti hanno un atteggiamento responsabile nei confronti della Russia, come quando fai mangiare gli spinaci ai bambini. E’ per il loro bene”. Negi anni Novanta, quella di Clinton nei confronti della Russia fu una politica da “collezionista di trofei”, dall’intervento nei Balcani all’espansione della Nato a est.. Più che un futuro alleato, la nuova Russia venne trattata come un nemico sconfitto, quel comunismo sovietico finito sotto le rovine del suo stesso disastro militare, economico, ideologico. Ciò che nessuno oltre Atlantico voleva capire era che dietro quella Russia c’era ancora e sempre la sua idea di impero e di destino, il suo ritenersi protagonista nella storia dei popoli e non comparsa, con tutte le ossessioni e le distorsioni che ciò comporta. Aver pensato d liquidarne la pratica geopolitica come se si trattasse di un Pase qualsiasi, è stato, parafrasando Talleyrand, un errore che può rivelarsi una catastrofe.

Nel suo viaggio lungo il Volga, Mian incontra un po’ di tutto, mercenari e pacifisti, sciamanni e pope, ex cantanti rock e guide turistiche ad alto tasso alcolico, professori e funzionari, presidenti di cooperative agricole e vedove di guerra…L’insieme rimanda un po’ a quella ”umanità posto-atomica” che Eduard Limonov ha raccontato benissimo nei suoi libri e che nel tempo si è come solidificata, una sorta di Russia underground tornata in superficie e in qualche modo pacificata nell’aver dovuto prendere atto che la decadenza in cui si dibatteva si è trasformata in orgoglio nazionale e in un isolazionismo che viste le dimensioni del Paese viene vissuto come l’essere un continente a sé. Le stesse sanzioni, osserva Mian, lavorano in quest’ottica, senza contare il loro aver fallito l’obiettivo: l’economia russa “non solo ha retto il colpo, ma sta crescendo più rapidamente di quella globale, oltre il doppio dell’area euro. La disoccupazione sta sotto il tre per cento e anche l’inflazione -di solito il punto debole della economia di guerra- sostenuta a pieni giri dal complesso militare-industriale, secondo gli analisti internazionali viaggia verso la stabilità”.

Mosca blues è un libro onesto, tanto più onesto se si pensa che il suo autore non condivide nulla di Putin e del putinismo, non è per nulla sensibile a qualsiasi tipo di sirena nazionalistica, tantomeno è attratto dal messianismo ideologico-religioso. Inoltre, è convinto che sia tutt’altro che “teorica l’ipotesi dell’espansione del conflitto oltre l’Ucraina”…Non gli piacciono però quelle che definisce “le sanzioni culturali”, ovvero “il black out d’informazione sulla Russia e sulla sua stessa civiltà, imposto dall’Europa e dagli Stati Uniti”. E’ anche questo a impedirgli di vedere in Navalny un liberale in senso occidentale, come l’Occidente finge che sia, ma una variante di quello stesso nazionalismo putiniano coniugata però nel suo essere contro l’autocrazia e il sistema di potere di Putin stesso.

Ciò che alla fine del libro emerge è comunque un sentimento di claustrofobia. Per tutto il viaggio Mian non ha incontrato uno straniero, non ha ascoltato altra lingua che sia il russo,  e sempre con “la sensazione di trovarsi sull’orlo di un tempo nuovo, gonfio di minacce come una cupa nube di tifone all’orizzonte”. Si chiude il libro con lo stesso sentimento di sollievo del suo autore dopo aver superato l’ultimo controllo che lo separa dal tornare a casa.

Ben costruito, l’unico difetto di Volga blues è a volte nello stile, corrivo (calare le brache, pestare duro, tanta roba, dare di matto, sentirsi in palla, pompare a manetta, riserve in cascina…) e qui e là da maschio alfa (sbirri, cessi, come c…finirà, ma che c… , farmi uscire le budella dal culo, eccetera). Lo diciamo con la stima nutrita per il suo autore e con l’invidia che si prova per un simile viaggio. Io alla fine del viaggio vorrei conoscere il grande statista Putin.. il vero Zar … o Puskin come lo chiamava Berlusconi…. Io partirei da Nord Ovest di Mosca se facessi il “mio viaggio”, dove a 270 metri di altitudine nasce questo lungo serpente blu, creando una serie di laghi e paludi, apparentemente di modesto rilievo ma dietro il quale vi si scorge già la sua faccai, 3500 km di percorso..un grande bacino di raccolta,… e le sue acque interessano si puo’ dire lintero e unico Paese, la Russia, unica ed unita.


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