XAVIER GIANOLI COLPISCE I FRANCESI NEL CUORE DELL’EUROPA METTE IN LUCE LA PIU GRANDE TRUFFA DEL SECOLO. BRAVISSIMO L’ATTORE VICENT LINDON
Sangue e soldi (D’argent et de sang, è il titolo originale), è una variante appena più raffinata del “sangue e merda” con cui anni fa un parlamentare italiano definì l’essenza della politica, ma il senso è lo stesso, anche se applicato a un campo diverso dell’agire umano, ovvero l’economia, con tutti i suoi annessi e connessi. Xavier Gianoli, il regista di questa serie fuori concorso, presentata ieri in una maratona che raggiunge le dodici ore di visione per un totale di nove puntate, da buon lettore di Balzac (era sua la riduzione cinematografica di Le illusioni perdute presentato qui con grande successo lo scorso anno), sa del resto benissimo che “dietro ogni grande fortuna si nasconde un crimine” e che l’avidità è un formidabile motore della storia…
Affidato alle più che robuste spalle di Vincent Lindon, probabilmente il più carismatico degli attori francesi in circolazione, D’argent et de sang è una storia di fantasia che prende spunto da un fatto reale. Fra il 2008 e il 2009, approfittando di una scappatoia nel sistema di tassazione sulle emissioni carboniche, una rete criminale di società fittizie cominciò a scambiare crediti carbonio, ovvero quei crediti che permettevano alle aziende di compensare le emissioni nocive che non riuscivano ad azzerare, tra la Francia e altri Paesi, incassando l’Iva e reinvestendola, senza cioè versarla allo Stato. Nel giro di un anno questo meccanismo costò al fisco transalpino circa due miliardi di euro, alla Unione europea quasi dieci e venne definita “la truffa del secolo”.
L’aspetto più incredibile della vicenda è che a fronte del sistema di tassazione teorizzato e messo in pratica dai cosiddetti “enarchi” della finanza di Stato, ovvero gli economisti usciti dalle più prestigiose scuole di amministrazione, le menti dell’organizzazione criminale erano poca cosa: “Truffatori cresciuti sui marciapiedi di Belleville”, come li ha definiti lo stesso regista, tunisini di origine sefardita, spesso analfabeti….Grazie all’aiuto di un broker dell’alta finanza, il tutto venne poi raffinato fino a raggiungere le dimensioni prima raccontate.
Nel film, costruito con il ritmo di un poliziesco, oltre alla bravura degli interpreti, è il moltiplicarsi degli scenari a fare la parte del leone: le periferie di Parigi e i quartieri alti, le Filippine e Israele, Dubai e Hong Kong…Gli uni e gli altri ruotano però intorno all’incredibile balletto provocato da un vero e proprio cocktail di culture, dove la bramosia del denaro facile del sottoproletariato criminale si mischia e si scontra con la bulimia di successo e il senso di impunità propria dei giovani rampolli del jet set, per i quali il lusso, l’eccesso, la sfida, l’infrazione delle regole sono benzina esistenziale, delirio di onnipotenza…
Quello che però emerge sullo sfondo è la finanza applicata all’ecologia, la speculazione travestita da etica al servizio della buona causa ambientale, la lotta all’inquinamento che si avvale delle capriole intellettuali più smaccate, come per esempio, la possibilità di inquinare legalmente, pagando cioè la relativa tassa in materia…Una sorta di “capitalismo da casinò”, insomma, con la sua estetica del male: decadenza, gioco d’azzardo, pulsione omicida…